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In occasione della presentazione di “Proposte per un Manifesto Antispecista” tenutasi presso la libreria LOVAT di Treviso in data 24 ottobre 2015, l’amico filosofo Mario Cenedese (presidente dell’Associazione Eco-filosofica e collaboratore di Veganzetta) si incaricò, unitamente a Paolo Scroccaro, dell’introduzione e del dibattito successivo alla presentazione. Di seguito il testo dell’introduzione, riguardante i rapporti tra antispecismo e pensiero filosofico moderno e contemporaneo, pubblicato sul Quaderno n° 33 (gennaio-febbraio 2016) dell’Associazione Eco-filosofica.


Breve relazione introduttiva

Se l’antispecismo, come osserva l’autore del libro che stiamo presentando, Adriano Fragano, rappresenta una critica radicale dello specismo, ovvero di quell’atteggiamento sprezzante e supponente, appartenente al mondo civilizzato, ordinato secondo standard gerarchici, di dominio di una specie – quella degli umani, su tutte le altre – quelle dei non-umani, principalmente animali, cercheremo ora, sommariamente e senza alcuna pretesa di esaustività, quali possano essere le implicazioni filosofiche alla base di questo punto di vista antispecista.

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Il testo che segue costituisce una delle relazioni esposte durante la presentazione del libro di Giacomo Leopardi “Dissertazione sopra l’anima delle bestie e altri scritti selvaggi” a cura di Gino Ditadi avvenuta il 31 maggio 2014, presso la libreria Lovat di Villorba (TV).


All’interno del pensiero e delle pratiche culturali occidentali possiamo individuare almeno due paradigmi: uno ecocentrico-cosmocentrico e un altro antropocentrico. Il primo pone in primo piano l’universo vivente, l’Anima Mundi, secondo la visione neoplatonica, il secondo, invece, considera l’universo al servizio dell’Umano, privo di anima, sprovvisto di soffio vitale (pneuma), un paesaggio senza vita, quindi, e del tutto desacralizzato. 

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Fonte: ilmanifesto.it/tra-anima-e-animale-una-questione-di-soglie


Tra anima e animale: una questione di soglie

Sempre più vedo il con­fine messo a divi­dere uomo e ani­male come inti­ma­mente con­nesso a una domanda cru­ciale, ine­lu­di­bile per chi abbia avuto in sorte di vivere dopo la Shoah: come si è arri­vati a pro­gram­mare e attuare l’eliminazione indu­striale di milioni di esseri umani, desti­tuen­doli della pro­pria umanità?

Se la moder­nità ci ha reso cie­chi al dolore, alla sop­pres­sione, al con­sumo e allo smal­ti­mento di esseri viventi pro­dotti e pro­ces­sati indu­strial­mente come cose, se non siamo capaci di rico­no­scere e lasciarci inter­pel­lare dal dolore del vivente, come pos­siamo rispet­tare gli esseri umani? Non si tratta solo di un pen­siero ani­ma­li­sta, ma di un ragio­na­mento pie­na­mente poli­tico che — in bilico tra filo­so­fia e scienza, nella defi­ni­zione di ciò che è “uomo” e ciò che non lo è, di ciò che attiene all’umano e di ciò che se ne disco­sta — ci porta a un nodo essen­ziale che si può rias­su­mere nell’invettiva di Scho­pe­n­hauer con­tro l’esclusione degli ani­mali dall’etica kan­tiana: «Sia dan­nata ogni morale che non vede l’essenziale legame fra tutti gli occhi che guar­dano il sole». 

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