Le insidie dello “specismo speculare”


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L’occuparsi di diritti degli Animali, trascendere (non dandole per assodate, ma ignorandole) tutte le problematiche legate alla società  umana, per concentrarsi sulle immensità  del dolore animale causato direttamente da tale società, rappresenta non solo un clamoroso errore strategico, ma anche un pericoloso cedimento concettuale.
Il problema di fondo – a nostro avviso – è la scarsità  di approfondimento della questione prettamente “umana” della filosofia antispecista; mentre sempre più persone possono senza difficoltà  dirsi d’accordo con il concetto di diritti animali, concetto affrontato da autori del calibro di Peter Singer, Tom Regan, Gary L. Francione, Jim Mason, James Rachels – solo per citare i più blasonati – pochi hanno ritenuto opportuno affrontare forse l’aspetto fondamentale dell’antispecismo, sempre citato, ma quasi mai indagato: la liberazione animale.
Il cedimento concettuale – a cui si accennava – che ne deriva può condurre a posizioni simili a quelle di Paul Watson e la sua Sea Shepherd, il quale candidamente afferma: “In un mondo in cui gli esseri non-umani non hanno alcun genere di diritto, personalmente non penso di dovermi preoccupare troppo della negazione di diritti umani1.

Di fronte a prese di posizione del genere si può ben capire come un certo attivismo (del tutto condivisibile se non avesse origine da posizioni come quella di cui sopra) possa fungere da calamita per tutti coloro che preferiscono affrontare il problema nella sua metà  che non riguarda direttamente la sua causa (una società  umana sfruttatrice, iniqua e tiranna verso Umani e non). L’intervista a Paul Watson è, sotto questo punto di vista, illuminante, e rende l’esatta misura del fenomeno che si potrebbe definire uno specismo di ritorno formulato partendo da posizioni antispeciste: uno specismo speculare2. Un concetto che vede la specie umana come il problema da risolvere, il corpo estraneo nel tutto dell’equilibrio ecosistemico del pianeta da arginare se non da estirpare. Le visioni estinzioniste, pessimiste e catastrofiste veicolate dallo specismo speculare spesso si accompagnano al qualunquismo a-politico che tanto è in voga tra gli attivisti animalisti. Il professarsi a-politico, testimonia due elementi preoccupanti: la profonda ignoranza generalizzata su ciò che significa fare politica, e la confusione tra azione politica e partitismo.

La politica è e deve essere intesa anche come un esercizio individuale atto ad influenzare la collettività, essa può essere esercitata in numerosissimi modi, ma mai ignorata, pena l’accettazione supina delle visioni altrui. Fare politica vuol dire anche decidere consapevolmente quali azioni favorire nel quotidiano, e quali contrastare. Decidere di non indossare una pelliccia, di non acquistare cadaveri di Animali, di non appoggiare la vivisezione sono atti politici. Le attività  volontarie, le proteste, le manifestazioni, sono attività  politiche nel senso che sono esercitate nell’intento di influenzare l’opinione pubblica nel tentativo di modificare lo stato delle cose in favore degli Animali.

La politica, quindi, non è solo ad esclusivo appannaggio dei partiti, deve essere un diritto che ogni cittadino deve poter esercitare in piena libertà.
Chi crede che possa esistere un’azione fine a se stessa senza un progetto su vasta scala per risolvere l’enorme problema del rapporto Umani-Animali, commette un grande errore per il semplice fatto che in questo modo, non fornendo un’ipotesi di soluzione a lungo termine, ci si predispone all’accettazione acritica (in nome della massimizzazione del risultato immediato) di qualsiasi proposta: si può continuare a perpetuare la visione di dominio del più forte sul più debole, causa dell’infinito macello quotidiano, nella speranza illusoria ed assurda di porvi un rimedio.

Gli esempi a riguardo si sprecano: forum su internet dove si spendono fiumi di parole su Animali maltrattati e poi si professa la pena di morte per gli Umani, animalisti fautori della giustizia sommaria, della legge del taglione, attivisti vegani che dichiarano pubblicamente il loro odio per popolazioni umane considerate barbare o inferiori (leggasi cinesi, arabi, popolazioni dell’est europeo …), antispecisti giustamente preoccupati per il mostruoso sfruttamento degli Animali, ma lontani anni luce dai problemi dello sfruttamento dei più deboli fra gli Umani. Persone che non esitano ad avallare visioni razziste, sessiste, omofobiche, discriminatorie nei confronti di etnie e religioni, il tutto in nome di una presunta difesa dei diritti degli Animali. Argomentazioni, quindi, del tutto compatibili, ed anzi di supporto, al pensiero unico occidentale che prevede l’assoggettamento del diverso e del più debole, la sottomissione e l’omologazione.

Ma torniamo alla questione della liberazione animale lasciata in sospeso. Come può essa aiutare a risolvere il sempre più pressante problema della deriva dell’antispecismo, verso lo specismo speculare? Il tutto è sostanzialmente riconducibile ad un problema di approccio: i diritti animali in sostanza non prevedono necessariamente un ripensamento radicale della società  umana, ma una sua rimodellazione e l’espansione dei suoi principi fondanti, anche ad individui (gli Animali in generale, e gli esseri senzienti in particolare) che attualmente non ne fanno parte, e che non possono quindi godere dello status di “cittadino” nel senso più classico del termine. In buona sostanza i diritti animali, seppur un passo importante, non sono un argomento sufficientemente forte per mettere al riparo l’intero movimento animalista radicale da pericolose involuzioni (ed infiltrazioni strumentali di fazioni politiche o di ideologie lontane anni luce da concetti di uguaglianza, libertà  e diritti dei più deboli), pertanto è evidente che, come traguardo strategico, si dovrebbe abbandonare la questione dei diritti animali, in favore della liberazione animale intesa come “ponte” tra lo status quo ed un futuro di libertà  generalizzata. Il concetto di liberazione animale prefigura, infatti, una profonda critica della società  umana e quindi una visione rivoluzionaria che non permette una dicotomia tra problematiche umane e animali. L’abbattimento dei motivi di disuguaglianza, di ingiustizia, e di prevaricazione presenti tra gli Umani, spianerebbe la strada alla più ampia liberazione di tutti gli Animali3.

Liberando noi stessi, libereremmo anche chi stiamo schiavizzando, allontanando nel contempo chi subdolamente tenta di rallentarci.

Adriano Fragano


Note:

1) http://www.directaction.info/library_watson.htm
2) Libera interpretazione del neologismo preso in prestito da Filippo Schillaci.
3) liberazione animale: Il concetto di liberazione animale (intesa come liberazione umana e non umana) trascende la visione dei diritti animali, la concessione di determinati diritti presuppone il riconoscimento ad una o più specie della facoltà di concedere tali benefici ad altre specie. La liberazione animale prefigura invece degli scenari molto più complessi nei quali le specie senzienti (si parla per l’appunto di Animali) siano in grado di poter soddisfare le proprie esigenze senza danneggiare – o danneggiando il meno possibile – le altre. Il tutto presupporrebbe teoricamente una visione condivisa interspecifica, visione che oggettivamente non si può verificare. Pertanto dovrà  essere l’Umano ad  operare sulla propria organizzazione sociale per poter permettere la liberazione dell’individuo umano e di quello animale, essendo la società  umana l’unica in grado di opprimere tutte le altre specie viventi. La liberazione animale conduce ad una visione rivoluzionaria che comporterebbe profondi cambiamenti sociali. Il concetto di liberazione animale assume quindi una notevole importanza nel cammino antispecista, e può considerarsi come una delle tappe fondamentali per la costruzione di una nuova società  umana a-specista che sarà  in grado di esistere proprio grazie ai fondamenti teorici della liberazione animale.


Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno II / 1 del 31 gennaio 2008, p. 2

2 Commenti
  1. HappyCarrot ha scritto:

    In tempi in cui l’antipolitica impera, la tensione ideale di veganzetta indica una strada di impegno civile.

    Man mano che veganzetta dispiega le sue carte il dibattito dentro e intorno ad essa cresce, e forse già  segna un passo avanti nella conoscenza collettiva.

    Questo foglio non conosce retorica apologetica né rifugge temi complessi e linguaggi specifici, e sa mettere apertamente in discussione le idee e i metodi.

    La filosofia in Italia sta acquistando una nuova popolarità , ma non mostra di aver ancora acquisito alcuna familiarità  con questi temi che hanno un grande peso nella vita quotidiana, e implicazioni che non è possibile trascurare.

    E’ auspicabile che gli intellettuali per primi raccolgano l’invito all’approfondimento e a un atteggiamento più laico rispetto al mondo del consumo animale.

    Franco

    10 Maggio, 2008
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  2. Veganzetta ha scritto:

    AGGIORNAMENTO

    Il link ripostato nelle note è stato rimosso dal sito originario, è possibile però leggere la traduzione di alcune dichiarazioni rilasciate da Watson a questo indirizzo: http://catoneilcensore.blogspot.com/2007/09/sea-shepherd.html


    Sea Shepherd
    Pubblichiamo alcuni passi di un’intervista rilasciata da Captain P.W., amato a sproposito anche in alcuni ambienti eco-animalisti di sinistra, che chiariscono senza ombra di dubbio le sue idee socio-politiche .

    Captain Paul Watson, Il gendarme della ‘conservazione’

    Negli ultimi vent’anni, le navi della Sea Shepherd capitanate da Paul Watson hanno realizzato alcune delle forme di azione diretta piu’ sofisticate ed efficaci non soltanto per i mari, ma per tutti i movimenti ambientalisti e animalisti […] Paul Watson ha resistito dove e quando la maggior parte delle persone si sarebbe arresa. Ha ottenuto l’attenzione internazionale rispetto alla difficile situazione delle ultime grandi balene e di innumerevoli altri animali dell’oceano. Lavora in difesa di trattati internazionali e contro stati canaglia. Talvolta controverso e mai disposto a scusarsi, racconta su queste pagine di ‘Bite Back’ i suoi 25 anni in prima linea nella lotta. […]

    [Watson:] “[…] Viviamo in una cultura mediatica e cio’ significa che quando attori e musicisti parlano di un’ampia serie di argomenti, sono piu’ credibili degli esperti in materia. Sono i media a trasmettere il messaggio e nella nostra cultura il medium e’ piu’ importante del messaggio. Impiegare delle celebrita’ ha considerevolmente aumentato le probabilita’ che un messaggio venga ascoltato. Nella nostra organizzazione, abbiamo il supporto di Pierce Brosnan, Martin Sheen, William Shatner, mentre Richard Dean Anderson fa parte del nostro direttivo. Come possiamo perdere, se siamo alleati con James Bond, il capitano Kirk, il Presidente degli Stati Uniti e McGyver?”

    “[…] Di fatto, i bersagli specifici della Sea Shepherd sono delle attivita’ illegali, quindi siamo un’organizzazione per il rispetto delle leggi […] Io non infrango le leggi: le sostengo. Non condanno ne’ deploro l’uso della violenza per far rispettare la giustizia […] La forza e’ nella diversita’ degli approcci metodi e io sostengo tutti i metodi di combattere per proteggere questo pianeta e la biodiversita’.”

    “[…] Siamo una specie violenta. Siamo sempre stati una specie violenta e risolviamo sempre tutti i nostri problemi con la violenza. Non ci sono mai state eccezioni. Le vittorie non-violente sono un mito. Ha sempre prevalso la forza.”

    “[…] Penso che le critiche siano irrilevanti. La Sea Shepherd deve rispondere soltanto ai suoi membri e ai suoi clienti. I suoi clienti sono gli esseri che vivono negli oceani. Subito dopo che affondammo meta’ della flotta islandese che dava la caccia alle balene nel 1986, un mio ex collega di Greenpeace mi avvicino’ per dirmi che cio’ che avevamo fatto in Islanda era “un’azione codarda, condannabile, criminale e imperdonabile.” Gli risposi: “E allora? Non abbiamo affondato quelle navi per voi o per i sei miliardi di stronzi ominidi che vivono su questo pianeta. Le abbiamo affondate per le balene. Trovami una balena che non sia d’accordo con l’azione e non ne faremo piu’ di simili, ma fino a quel momento, non potra’ fregarcene di meno di cosa abbiano da dire gli esseri umani riguardo all’azione.”

    “[…] Quando ricevo una critica, in primo luogo chiedo se chi la muove e’ un membro della Sea Shepherd. Se non lo e’, la critica non e’ rilevante. In caso lo sia, ascoltero’ la critica. Nondimeno, talvolta i membri non riescono a capire la natura dell’organizzazione cui si sono uniti e quindi dobbiamo ricordargli che sono stati loro ad unirsi a noi, non noi a loro, e che se non sono d’accordo con le tattiche, dovrebbero portare il loro supporto altrove.”

    “[…] Il fatto e’, comunque, che per gli ecosistemi del mondo, per le specie in pericolo, per tutte le piante e gli animali, non esistono diritti.

    In un mondo in cui gli esseri non-umani non hanno alcun genere di diritto, personalmente non penso di dovermi preoccupare troppo della negazione di diritti umani.”

    “[…] Personalmente, credo che l’umanita’ sia condannata. Siamo gli ultimi dei primati ominidi e questo gruppo, tanto per cominciare, non ha mai avuto un grande successo. Eccessivamente territoriale, ossessionato da trivialita’, violento, misero e assolutamente privo di empatia verso le altre specie. Il mondo sarebbe un posto molto piu’ piacevole, senza di noi.”

    “Domanda: Dopo aver trascorso 25 anni in prima linea nelle battaglie di azione diretta, quale consiglio tattico e ispirativo puoi offrire ai nuovi attivisti che si dedicano alla lotta per i diritti animali e della terra?

    Paul Watson: “Numero uno: non farti beccare. Numero due: non tirare fuori quell’obsoleta retorica di sinistra. La gente non ha voglia di sentir parlare di capitalismo e imperialismo: tutte queste chiacchere non cambiano niente […] Io mi considero un conservatore, perche’ la radice del termine e’ ‘conservare’ e il vero conservatore e’ un conservazionista. Inoltre, sono un Repubblicano, nello spirito di Thomas Jefferson, Abraham Lincoln e Teddy Roosevelt. […] E lasciate perdere l’obsoleta retorica della giustizia sociale. La gente e’ tutta uguale. I poveri sono semplicemente degli aspiranti ricchi. Gli oppressi sono semplicemente degli aspiranti oppressori. Le persone hanno tutte gli stessi vizi e virtu’, a prescindere dalla classe, dal colore, dal sesso o dalla religione. Guarda la schiavitu’. La colpa fu di entrambe le razze. Gli europei non catturarono mai neppure un singolo schiavo. Li compravano da degli Africani neri, che li avevano catturati per venderli come schiavi. Gli indiani americani si stavano massacrando e derubandosi la terra a vicenda molto prima che arrivassero i bianchi. Per quale motivo dovrei interessarmi di un talebano o di una donna saudita? La maggior parte di loro condivide i concetti primitivi dell’Islam. Sono come quelle mogli picchiate che giustificano la violenza dei loro mariti […] I bianchi, i neri, gli indiani, gli asiatici, ecc sono tutti uguali: siamo tutti un mucchio di scimmie nude egocentriche, che si autoglorifica eccessivamente, con le menti piena di leggende divine e i nostri piccoli patetici cervelli da primati pieni di confusione riguardo a cosa sia questo mondo. L’unica cosa che importa sono le leggi dell’ecologia […] La legge per cui l’interesse di una specie deve avere la precedenza rispetto ai diritti individuali dei singoli individui di qualunque specie. […] Tutti i problemi sono insignificanti, in confronto a quello piu’ importante di tutti: la diminuzione crescente della biodiversita’ globale. Ed esiste una sola causa per questo problema: la crescita incontrollata della popolazione umana.”

    “[…] Viviamo in un mondo popolato da decine di milioni di specie e fino a quando a tutte queste specie non sara’ riconosciuta una parvenza di diritti, almeno il diritto di sopravvivere, io non potro’ interessarmi granche’ dei diritti umani.”

    “[…] Questo movimento non ha bisogno di vigliacchi. Questo movimento ha un immediato bisogno di disciplina, sicurezza e di spirito marziale.”

    16 Luglio, 2009
    Rispondi

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