Sull'”antispecismo politico”


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Politica

Il complesso delle attività che si riferiscono alla ‘vita pubblica’ e agli ‘affari pubblici’ di una determinata comunità di uomini. Il termine deriva dal greco pòlis («città-Stato») e sulla scia dell’opera di Aristotele Politica ha anche a lungo indicato l’insieme delle dottrine e dei saperi che hanno per oggetto questa specifica dimensione dell’agire associato.

(fonte Treccani Enciclopedia online)

Se prendiamo per buona questa definizione, chi intende influenzare i comportamenti di una comunità umana inevitabilmente fa politica, ossia interviene in vari modi sul complesso delle attività che si riferiscono alla vita pubblica di una comunità o di una società, che non è meramente amministrazione.
L’antispecismo chiaramente intende cambiare radicalmente il rapporto che noi Umani abbiamo con gli altri Animali, partendo dal concetto stesso che il singolo e la società umana hanno di loro. Da ciò ne consegue che l’antispecismo opera per cambiare non solo il comportamento del singolo, ma anche quello dell’intera società umana (attualmente specista) nei confronti degli Animali: l’attività antispecista (da quella teorica a quella pratica) è dichiaratamente politica. Dunque parlare di “antispecismo politico” come sempre più spesso accade in questi ultimi anni, è quantomeno superfluo e fuorviante – dunque dannoso – perché l’antispecismo o è politico o semplicemente non ha motivo di esistere. Affermare che ci sia un “antispecismo politico”, significa sottintendere che ne esista anche uno “non politico”, cosa chiaramente impossibile tenuto conto di ciò che l’antispecismo si propone di ottenere a livello sociale.
La volontà di categorizzare, incasellare, catalogare ogni nostro pensiero ed azione, spesso è solo la conseguenza del desiderio di creare una specifica e distinta nicchia di influenza; in questo caso parlare di “antispecismo politico” prefigura anche della malafede e intenzioni che probabilmente nulla hanno a che vedere con la liberazione animale.

Adriano Fragano


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6 Commenti
  1. VegWar ha scritto:

    Pura malafede! Usano l’antispecismo politico per fare passare ideologie che non hanno niente a che fare con gli animali. è un cavallo di troia.

    22 Marzo, 2024
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao VegWar,

      Grazie per il tuo commento, interessante l’idea del Cavallo di Troia, è molto probabile che sia esattamente così e che – come sempre – gli Animali e gli argomenti che li riguardano servano solo per altri scopi.

      30 Marzo, 2024
      Rispondi
  2. Claudio ha scritto:

    “Antispecismo politico”… o forse: “Antispecismo politicizzato ideologigamente”
    o “Antispecismo ideologicamente politicizzato”.

    Breve sintesi su cosa cosa sia “antispecismo politico” come il suo autore Marco Maurizi lo ha inteso e propone:
    1) non può esserci liberazione animale senza liberazione umana (ma vale anche il contrario).
    2) per permettere questa liberazione totale occorre superare lo specismo, da qui antispecismo.
    3) la strategia più efficace per realizzare ciò prevede PRIMA di creare delle condizioni ottimali nella società umana che saranno la base sulla quale POI lavorare per creare una società antispecista.
    4) i presupposti materiali perché la società umana possa divenire liberata ed emancipata sono legati alla STRUTTURA ECONOMICA e di conseguenza al modo di produzione.
    5) un modello che NON sia il sistema capitalistico con la detenzione privata dei mezzi di produzione, che NON sia un ritorno alle società arcaiche e al primitivismo, ma, e questa è la proposta, un modello economico-sociale che prospetti una società di produttori autonomi, la collettivizzazione dei mezzi produttivi, ovvero un MARXISMO ANTISPECISTA ECO-SOCIALISTA.

    Questo approccio si discosta rispetto a quello classico/storico definito da Maurizi “antispecismo morale” che vede come principale strategia d’azione, PRIMA il cambiamento culturale dei singoli e POI di conseguenza della società.

    Questa la doverosa premessa.
    Ora il tema posto da Adriano non è tanto cosa si intenda con il termine “Antispecismo politico” tantomeno è una considerazione sulla prassi proposta, (che comunque ritengo meriti una riflesssione che su veganzetta non mi sembra essere stata affrontata direttamente), quanto se l’aggiunta dell’aggetivo “politico” sia superfluo e fuorviante.

    Marco Maurizi sostiene che l’ “antispecismo morale” sia pseudo-politico, che appartenga ad una dimensione pre-politica, ritenendo errato che la sua prassi venga già spacciata per una dimensione politca.
    L’ “antispecismo morale” si illude di poter cambiare lo stato delle cose (specismo) con il “buon cuore”, esaurendo la spinta rinnovatrice convincendo ad uno ad uno le persone a diventare veg, o “andando ad abbracciare gli alberi”.
    Data l’irrilevanza politica della pratica moralizzatrice che attiene piuttosto alla sfera individuale ecco la necessità di definire un diverso approccio, stavolta realmente politico poichè implica un progetto concreto di società, fissa un obiettivo sociale, una riflessione sul tipo di società che si auspica (diversamente organizzata, giusta, equa), e NECESSARIAMENTE sui modi di produzione, immaginando i modi pratici, materiali e politici per metterla in essere.

    Con questo credo di aver riassunto decentemente la visione dell’autore.
    Un saluto.

    9 Maggio, 2024
    Rispondi
  3. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Claudio,

    Grazie per la sintesi sul cosiddetto “antispecismo politico” che è molto utile per chi legge, ammesso e non concesso che l’autore la reputi coerente con ciò che afferma.
    Limitandoci a considerare solo quanto da te riportato, le risposte a ciò che scrivi potrebbero essere le seguenti.

    1) Questo è chiaro e in passato l’argomento è stato affrontato e sviluppato da diversi autori, uno per tutti Best.
    2) Non serve rispondere a questo punto.
    3) Le condizioni ottimali nella società umana, potranno essere create a patto che la società accetti l’antispecismo come idea fondante di un nuovo “patto sociale”, altrimenti parliamo semplicemente di uno dei tanti sistemi socio-politici ed economici che nel nostro passato si sono imposti e succeduti, ma che non hanno mai ottenuto una reale trasformazione nella concezione umana del vivente. Dato inoltre che stiamo parlando di modelli sociali, è arduo comprendere come si possano creare PRIMA delle condizioni per poter lavorare POI ad una società antispecista come se la soluzione fosse solo una concatenazione logica e consequenziale di eventi: ciò per il semplice fatto che non è possibile scindere un evento sociale dall’altro e la costruzione di una nuova società non la si può progettare a tavolino sperando che ogni tassello vada al suo posto, come è stato tentato in passato con i disastri e i fallimenti che ben conosciamo; si tratta bensì di un processo lungo, complesso e fluido, è per questo che la coerenza personale e il coinvolgimento degli individui è parte fondamentale del percorso. Peraltro non stiamo parlando di smantellare un sistema socio-economico che vige da qualche centinaio di anni, ma di un’ideologia, una filosofia antropocentrica, con un completo sistema di valori che lavora costantemente all’interno della nostra società e delle nostre menti da almeno 10.000 anni.
    4) Questa è una vecchia impostazione marxista che fa acqua da tutte le parti, perché la rivoluzione che ci prefiggiamo di ottenere è innanzitutto morale e se la morale non cambia, al cambiare i mezzi di produzione e della struttura economica, non muterebbe di certo il concetto che noi Umani abbiamo degli Animali e che continuerebbe a causare ripercussioni devastanti su ogni nostro pensiero e su ogni nostra azione.
    5) Il Marxismo come scienza della società che include anche l’antispecismo non è mai esistito – diciamoci la verità – e non può esistere perché l’elaborazione teorica di Marx non ha mai considerato gli Animali come degli individui da rispettare o addirittura portatori di diritti fondamentali. Ci sono vari gruppi che, in passato e ancora oggi, hanno tentato e tentano di creare delle connessioni tra marxismo e antispecismo, ma si tratta di pura strumentalizzazione o al massimo di un lavoro velleitario: è sempre possibile estrapolare frasi o singoli concetti da un qualsiasi contesto o pensiero per propri scopi, figuriamoci se non lo si può fare con il marxismo, questo però non cambia il fatto che il marxismo esprime una dottrina puramente antropocentrica.
    Lasciamo dunque cadere una volta per tutte questo argomento.

    Sul prima e sul dopo si è già chiarito. Si può solo affermare che l’antispecismo esige dal singolo attivista il massimo della coerenza, dunque non può esistere un’azione politica se non è fatta con cognizione di causa e coerenza figlie di un serio lavoro di autocritica.

    Il cosiddetto “antispecismo morale” inteso come elemento altro da quello “politico” è semplicemente una distinzione inconsistente. L’antispecismo per le sue caratteristiche volte al cambiamento sociale nasce esprimendo chiare e incontrovertibili istanze di carattere morale, al contempo indicando esplicitamente la volontà di opporsi allo specismo che è uno dei fondamenti della società umana moderna (specista) che va dunque cambiata, dichiarando così la sua matrice politica. La liberazione animale è una lotta di giustizia, fondata sul fatto che si reputa inaccettabile l’idea che l’Umano, solo perché tale, abbia il diritto di sfruttare e uccidere gli altri Animali a proprio piacimento; questa è una chiara impostazione morale sulla quale si basa l’etica antispecista e il lavoro di attivismo politico. La distinzione di cui sopra, dunque, non serve a nulla se non a frammentare e causare ulteriore confusione oltre a quella che già esiste.

    Prassi proposta, ecc.: questo passaggio non è molto chiaro.

    Posto che l’antispecismo morale e l’antispecismo politico non esistono ma sono inutili distinguo di un unico corpo teorico molto complesso e ampio che è sia morale, sia politico, considerare un approccio come pre-politico è del tutto soggettivo: dipende infatti dal concetto che si ha di azione politica.
    L’antispecismo non si illude puerilmente di poter cambiare le cose con il “buon cuore”, ma ha l’ambizione di cambiarle mediante un radicale processo di ri-costruzione di una nuova società umana liberata e aspecista, per fare ciò è indispensabile (non opzionale) che i membri di tale società comprendano ciò che è lo specismo, le sue cause, i suoi meccanismo, i suoi effetti e desiderino combatterlo. In caso contrario non si farà altro che proporre l’ennesimo modello sociale imposto da strutture o élite di potere che vincono la resistenza collettiva e individuale e lo instaurano. Comunque molto banalmente se la specie umana si dedicasse ad “abbracciare gli alberi”, certamente risulterebbe molto meno dannosa di quello che è ora e ciò non sarebbe di sicuro un elemento negativo.
    Il concetto di “veganizzazione” per come è stato fino ad ora inteso è strategicamente sbagliato, ma lo è ancor di più (e tragicamente) quello di affermare che ad esempio non è indispensabile essere delle persone umane vegane per essere antispeciste. La rivoluzione antispecista (così come quella vegana a cui è strettamente connessa) è sia individuale che collettiva e non può essere altrimenti, dato che siamo noi come individui umani e come società umana a reggere e alimentare direttamente la megamacchina specista.
    Ancora una volta c’è ancora chi “ragiona” per schemi e compartimenti stagni, mentre si sta parlando di un fenomeno invasivo e ubiquitario che influenza non solo la società umana tutta, ma ogni ambito personale e privato.
    Ovviamente anche una posizione morale può avere delle impostazioni politiche concrete come una progettualità e obiettivi sociali da perseguire: non sta scritto da nessuna parte che ciò non può verificarsi. Pensare che una posizione morale rivoluzionaria non possa essere politica è un incredibile errore.

    Un saluto a te.

    14 Maggio, 2024
    Rispondi
  4. Gabriele ha scritto:

    1. Sulla distinzione tra antispecismo morale e politico:
    Definire questa distinzione “inconsistente” equivale a ignorare un dibattito teorico consolidato. Non si tratta di negare che l’antispecismo morale possa avere implicazioni politiche, ma di riconoscere che le due strategie non coincidono. L’antispecismo morale si fonda sul cambiamento individuale, sulla coerenza etica, sulla testimonianza personale; quello politico, invece, affronta il sistema specista come una struttura storica, economica, materiale, e cerca strategie collettive e organizzate per trasformarlo. Dire che ogni morale è politica rischia di appiattire le differenze tra attivismo individuale e organizzazione di un progetto strutturale.

    2. Sulla coerenza individuale come “prerequisito”:
    Dire che “non può esserci azione politica senza coerenza individuale” è discutibile. La storia è piena di soggettività contraddittorie che hanno contribuito a cambiamenti radicali. Non serve affermare che la coerenza non conti, ma che non basta. E soprattutto: la coerenza non è mai pienamente possibile dentro strutture che ci impongono compromessi quotidiani. Se l’accessibilità al veganismo è limitata da salari bassi, mancanza di alternative, marketing, tempo e informazioni, la coerenza diventa un lusso, non un punto di partenza. Politicizzare l’antispecismo significa anche riconoscere questa asimmetria di potere.

    3. Sulla centralità del sistema di produzione:
    Ridurre il marxismo a “vecchia ideologia antropocentrica” è un’operazione semplicistica. Nessuno sostiene che Marx avesse elaborato un’analisi antispecista. Ma se accettiamo che la produzione capitalistica è il motore dello sfruttamento, e che ogni valore, inclusa la vita animale, è ridotto a merce, allora appare evidente che non si può scardinare lo specismo senza mettere in discussione i rapporti di produzione. Non è una strumentalizzazione: è un’estensione teorica. Così come è stato possibile elaborare un marxismo ecologista o femminista, è legittimo – e oggi necessario – elaborare un marxismo antispecista, che rifiuta l’idea che gli animali siano “risorse” e si oppone al dominio dell’uomo sulla natura.

    4. Sull’idea di “prima cambiamo la società e poi affrontiamo lo specismo”:
    Questo punto viene spesso frainteso. Nessuno dice che si debba aspettare una rivoluzione compiuta per iniziare a liberare gli animali. Ma è altrettanto illusorio pensare che, senza agire sulle condizioni materiali, basti il cambiamento delle coscienze individuali per trasformare l’ordine sociale. Morale e struttura non sono separabili, ma vanno integrate. L’etica da sola non può nulla se non si modifica il contesto che produce quotidianamente specismo – non solo nelle coscienze, ma nelle leggi, nei prezzi, nei sussidi, nelle pubblicità, nelle abitudini forzate e nelle istituzioni.

    5. Sull’accusa di ideologizzazione o imposizione di modelli sociali:
    Ogni proposta politica implica un modello di società. Non c’è neutralità. Affermare che “l’unico antispecismo è quello che nasce dalla coscienza individuale” è già una visione ideologica. L’antispecismo politico non impone nulla dall’alto, ma propone un processo di trasformazione democratico, collettivo, partecipato, che si confronta con la questione sociale, la redistribuzione della ricchezza, l’accesso al cibo e alla vita dignitosa. Chi non ha potere non può cambiare la società da solo, né diventare vegan con la sola forza di volontà. Pensare il contrario significa negare la realtà della disuguaglianza.

    6. Sulla “veganizzazione” come strategia efficace:
    Il veganismo resta una scelta importante, ma oggi è stato in larga parte cooptato dal mercato, ridotto a lifestyle, brandizzato, e spesso inaccessibile. È anche per questo che tante persone antispeciste non riescono a essere pienamente vegan. Questo non è relativismo morale: è coscienza della realtà materiale in cui agiamo. Per rendere il veganismo accessibile dobbiamo intervenire sulle condizioni di vita – salari, welfare, prezzi, distribuzione – non solo aspettarci che ciascuno si riorganizzi individualmente. Se il veganismo rimane uno sforzo individuale eroico, sarà per pochi. Se diventa una trasformazione collettiva, potrà essere per tutte/i.

    7. Sul significato politico dell’antispecismo:
    L’antispecismo non è solo una posizione morale, ma una proposta di mondo. Per essere tale, deve misurarsi con le forze che plasmano il mondo: l’economia, il potere, le istituzioni, la produzione. Non si tratta di screditare chi sceglie il veganismo come coerenza etica, ma di riconoscere che la lotta deve andare oltre. L’etica è la scintilla, ma la trasformazione richiede organizzazione, analisi, teoria e prassi.
    Per questo serve l’antispecismo politico.

    27 Settembre, 2025
    Rispondi
  5. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Gabriele,

    Grazie per il tuo commento dettagliato che senza dubbio è utile per tener vivo un dibattito importante.
    Di seguito potrai leggere le risposte punto per punto.

    1. Definire la distinzione tra antispecismo morale e politico “inconsistente”, non significa ignorare il dibattito teorico che ne è scaturito, bensì prendere una posizione chiara a riguardo e peraltro non priva di riflessione; le motivazioni di tale posizione sono state illustrate nel testo – seppur breve – di questo articolo, come anche nel commento di risposta a Claudio.
    Dalla tua considerazione è evidente che non prendi in esame il nocciolo della questione: non c’è una strategia propria di un presunto antispecismo morale distinta da quella di un presunto antispecismo politico, ma ci sono diversi approcci derivanti da posizioni apparentemente diverse in seno all’antispecismo, che purtroppo non sono in grado di generare un’unica strategia da seguire. Ciò perché pare che non vi sia la volontà di una parte del variegato mondo antispecista di ammettere una verità lapalissiana, ossia che qualsiasi strategia politica deve scaturire da una base di partenza comune e condivisa fondata sull’adesione coerente ai principi morali dell’antispecismo.
    La coerenza tra pensiero ed azione (a livello individuale e collettivo) è propedeutica a qualsiasi progettualità e strategia d’intervento, questa non è certo una novità e francamente è un’osservazione talmente ovvia da divenire banale. Un cambiamento politico senza un cambiamento morale (preventivo nel caso dell’agente politico) nella lotta allo specismo, è semplicemente un tragico errore: qualsiasi strategia collettiva e organizzata mirante alla trasformazione sociale senza una solida, coerente e condivisa etica è destinata al fallimento, così come qualsiasi posizione morale esprimente un’etica esclusivamente rivolta al singolo e priva di un approccio politico, rimarrebbe conclusa all’interno dell’ambito individuale, dunque relativamente alla liberazione animale, insufficiente dal lato pratico e deviante da quello teorico.
    Da nessuna parte si è affermato che “ogni morale è politica” ma che “L’antispecismo per le sue caratteristiche volte al cambiamento sociale nasce esprimendo chiare e incontrovertibili istanze di carattere morale, al contempo indicando esplicitamente la volontà di opporsi allo specismo che è uno dei fondamenti della società umana moderna (specista) che va dunque cambiata, dichiarando così la sua matrice politica. La liberazione animale è una lotta di giustizia, fondata sul fatto che si reputa inaccettabile l’idea che l’Umano, solo perché tale, abbia il diritto di sfruttare e uccidere gli altri Animali a proprio piacimento; questa è una chiara impostazione morale sulla quale si basa l’etica antispecista e il lavoro di attivismo politico”. La morale antispecista non è un mero esercizio solipsistico, ma parte fondamentale e ineludibile di un processo politico che mira al cambiamento della società umana.

    2. Ciò che è stato scritto è: “La rivoluzione antispecista (così come quella vegana a cui è strettamente connessa) è sia individuale che collettiva e non può essere altrimenti, dato che siamo noi come individui umani e come società umana a reggere e alimentare direttamente la megamacchina specista”. E’ chiaro che per conseguire un successo politico e sperare con ciò di generare un concreto cambiamento sociale, dobbiamo essere in grado di sostenere seriamente le istanze che promuoviamo, così come dobbiamo essere in grado di rispondere efficacemente alle aspettative che con la nostra attività politica generiamo e di sostenere con la coerenza inevitabili attacchi e critiche. Quanto affermato è ancora più valido se consideriamo le difficoltà da affrontare nella lotta contro lo specismo.
    L’antispecismo ha un enorme bisogno di senso del dovere, in quanto la nostra posizione (che riguarda tutti gli Umani, nessuno escluso) è quella del padrone, mentre gli schiavi sono gli altri animali, perché nessun Umano (nemmeno il più reietto e miserabile) vorrebbe essere “trattato come un animale”, ci sarà un perché. Da ciò l’inevitabilità di una coerenza individuale con i propri principi del singolo attivista antispecista in ogni ambito, anche quello politico.
    La storia è piena di soggettività contraddittorie che hanno imposto cambiamenti spesso catastrofici alle masse costringendole a fare ciò che loro stesse non avrebbero mai fatto (della serie “armiamoci e partite”).
    L’accessibilità al veganismo è da sempre possibile: quella del veganismo ricco, consumista, superficiale e volubile che insegue le sirene del marketing (il consumismo vegano), è una triste realtà per alcuni individui, ma non è certo quella di chi interpreta seriamente e correttamente il messaggio vegano originale, che ci parla di ben altro e soprattutto di critica dell’esistente e sobrietà. L’antispecismo dovrebbe studiare a fondo ogni asimmetria di potere (a partire da quelle esistenti tra Umani e non) per poter così proporre una via alternativa che non preveda alcuna presa di potere.

    3. “Nessuno sostiene che Marx avesse elaborato un’analisi antispecista”, questo non è del tutto vero purtroppo, nel senso che inequivocabilmente è in atto un tentativo di estrapolare dal pensiero di Marx delle impostazioni accostabili alla visione antispecista che in realtà non esistono.
    Su Veganzetta non è mai stato messo in discussione il legame diretto esistente tra capitalismo e sfruttamento della Natura e degli Animali, al contrario tale posizione è da sempre uno degli argomenti fondamentali di Veganzetta così come del Manifesto Antispecista. Sebbene il capitalismo – in quanto sistema socio-economico predominante – sia certamente la punta di diamante dello sfruttamento odierno del pianeta da parte dell’Umano e si fondi sullo sfruttamento dei più deboli a partire dagli Animali (l’enorme massa esclusa e sfruttata che giace negli scantinati del grattacielo capitalista), è chiaro che le soluzioni alternative sino ad oggi proposte e percorse non abbiano sortito risultati migliori. Per esempio le economie pianificate socialiste in Unione Sovietica, Cina, ed altri Paesi, se consideriamo ciò che sono state capaci di fare – e fanno tutt’ora – alla Natura, al pianeta e agli Animali, sono da considerarsi un completo fallimento. Dunque in generale quanto affermato al punto 5 della risposta al commento di Claudio, rimane valido.
    Tu affermi giustamente che “appare evidente che non si può scardinare lo specismo senza mettere in discussione i rapporti di produzione”, certamente è vero, ma tale approccio non lo si dovrebbe limitare ai soli rapporti di produzione capitalisti, ma a tutti i sistemi economici originati da una concezione antropocentrica del ruolo della specie umana sul pianeta Terra.
    Elaborare un “marxismo antispecista” significa semplicemente inventare di sana pianta un nuovo marxismo – o presunto tale – che non è mai esistito, perché sebbene in Marx fosse presente un interesse per il mondo animale e naturale (si confrontò anche direttamente con Darwin), è chiaro che nel suo pensiero esiste una differenza tra il mondo naturale e il mondo “storico-sociale” della specie umana: due elementi non soggetti alle stesse leggi (quelle naturali), reiterando così la visione dell’eccezionalità umana e quindi il paradigma antropocentrico. Questa impostazione, con i dovuti distinguo, non è di certo opposta alla visione specista capitalistica della supremazia umana nei confronti degli altri viventi e sul nostro conseguente “diritto” di disporne come meglio crediamo. Dal punto di vista del rapporto tra Umani ed Animali, esistono delle differenze ma non sono fondamentali. Scavando nella sterminata produzione Marxiana, risulta facile estrapolare molti passaggi utili ad evidenziarne alcune caratteristiche e tacerne delle altre, a seconda di ciò che si desidera dimostrare. Al massimo si potrebbe giungere a considerare un Marx ecologista di superficie, o protezionista, ma definirlo antispecista è pura manipolazione.
    Sarebbe davvero ora di passare oltre.

    4. A questo punto è possibile rispondere riutilizzando e ribaltando il tuo testo: è illusorio pensare che senza adottare una morale unificante a livello individuale e collettivo, basti l’agire sulle condizioni materiali per trasformare l’ordine sociale. Morale e struttura non sono separabili, ma vanno integrate*. La modifica del contesto che produce quotidianamente specismo non può nulla se non è guidata da una solida etica – non solo nelle coscienze, ma nelle leggi, nei prezzi, nei sussidi, nelle pubblicità, nelle abitudini forzate e nelle istituzioni.
    Anche in questo modo il discorso fila.

    * Per tale motivo non esista l’antispecismo etico o “metafisico” e l’antispecismo politico o storico, ma solo l’antispecismo.

    5. Non si afferma che “l’unico antispecismo è quello che nasce dalla coscienza individuale”, ma che l’antispecismo come già ribadito abbondantemente è unico e che le divisioni tra antispecismo etico e politico non servono a nulla se non a causare divisioni, contrapposizioni e probabilmente conflitti.
    La questione del “potere” che di nuovo torna in questo punto come in precedenza, è un argomento troppo vasto per affrontarlo in questa sede, dove si sta discutendo d’altro. Di certo l’antispecismo non mira ad assumere alcun potere, ma alla sua demolizione, insomma “cambiare il mondo senza prendere il potere” come recitavano alcuni slogan zapatisti. Non serve un nuovo grattacielo magari a piani invertiti, ma serve abbatterlo.
    Infine è chiaro che il singolo diventa una persona umana vegana con la sola forza di volontà e reinterpretando la realtà che lo circonda, come è fortunatamente accaduto migliaia di volte.

    6. Il veganismo non è una scelta ma un dovere morale, esso rappresenta il minimo indispensabile per poter procedere nella lotta antispecista.
    Anche il pacifismo è stato cooptato praticamente da tutte le forze politiche – anche le più guerraffondaie – strumentalizzato e ridotto a semplici e banali slogan utili per tutte le stagioni, per questo lo si dovrebbe disconoscere ed abbandonare?
    Tante persone umane antispeciste non riescono ad essere vegane per il semplice motivo che non sono persone umane antispeciste. Un soggetto antispecista che non è nemmeno vegano è come un soggetto nonviolento che va a spasso con una pistola nella cintola dei pantaloni, o un ecologista che partecipa ad una manifestazione contro il disastro climatico a bordo di un SUV. Non bisogna rendere il veganismo accessibile (lo è già), bisogna renderlo necessario.

    7. Verissimo: l’antispecismo è proprio una proposta alternativa di mondo.
    Per essere tale è chiaro che debba misurarsi direttamente con il mondo che intende cambiare e con le forze che lo governano, per farlo serve una salda unione tra etica, teoria e prassi. La prima esiste già, così come la seconda, la terza è tutta da pensare e costruire. Lo si potrà fare solo considerando l’antispecismo come un corpo unico e non frazionandolo in piccoli feudi spesso in lotta tra di loro. Dunque sbaglia chi considera il veganismo solo come impostazione morale personale e sbagli anche chi lo considera solo dal punto di vista politico.

    1 Ottobre, 2025
    Rispondi

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