Si legge in circa: 5 minuti
Michel de Montaigne nasce il 1533, nel Perigord, studia diritto in gioventù e in seguito ricopre cariche pubbliche a Bordeaux; ma a partire dal 1571 si ritira nel suo castello a vita privata, lontano dalle lotte politiche e religiose che insanguinano la Francia dei suoi tempi e, salvo rare interruzioni, si dedica alla redazione e all’accrescimento dei suoi Essais, fino alla morte, nel 1592.
Commentando i classici, come Plutarco, Seneca e Lucrezio, Montaigne analizza la condizione umana e la quotidianità, con una rara capacità d’introspezione. Il suo progetto è quello di far cadere maschere e artifici per rivelare il vero sé e, tenendo fede al suo obiettivo, fonda la sua opera, sincera e introspettiva, su una costante condanna delle dottrine troppo rigide e delle certezze cieche. La sua influenza sarà molto ampia sulla filosofia francese e occidentale.
In questo scritto, prenderemo in esame alcuni stralci tratti dai “Saggi” (Essais), opera pubblicata in tre versioni nel 1580, 1582, 1588 e costituita da una raccolta di brani di diversa estensione, in cui Michel de Montaigne tratta diversi argomenti da un punto di vista soggettivo e personale; il cui eloquente titolo significa “esperimento” o “tentativo”.
Questo progetto, ci rivela gusti e opinioni di un uomo del XVI secolo e riesce nel difficile compito di far assurgere un autoritratto ad una dimensione universale. Michel de Montaigne, mette in opera il precetto socratico “Conosci te stesso” esplorando ogni angolo recondito della nostra condizione, quella umana, con la sua miseria e incostanza.
I Saggi di Montaigne studiano le esperienze presenti e descritte in testi di autori antichi e moderni, per metterle in relazione con le proprie.
Il motivo per cui decidiamo di parlare di Michel de Montaigne è presto detto, egli è infatti spesso ricordato per il suo “dispiacere”1 nei confronti della sofferenza degli Animali e per la sua capacità di percepirla che si traduce in un vero e proprio disprezzo per la crudeltà. Spesso, in considerazione del fatto che egli abbia fra i primi esteso la sua attenzione a tutti i senzienti, lo si ritiene il più diretto predecessore di Bentham2.
Il dominio umano sul mondo naturale e su molti Animali che alimenta l’idea della superiorità umana, viene solitamente avallato dalla maggioranza dei filosofi ma Montaigne riesce a mettersi nei panni non solo degli altri Umani, ma anche degli Animali e, in qualche modo, di tutti gli esseri viventi.
Egli viene considerato come uno dei primi pensatori che si siano effettivamente svincolati dallo specismo e abbia superato dunque il pregiudizio secondo il quale gli Umani sarebbero unici latori del diritto di essere trattati secondo giustizia per quanto molti suoi successori abbiano giudicato il suo pensiero addirittura paradossale.
Egli scrive, infatti:
Noi dobbiamo giustizia agli uomini, e grazia e benignità alle altre creature che possono esserne suscettibili.
E’ sicuramente ardito definire Michel de Montaigne un precursore dell’antispecismo e riteniamo che si possa giungere a questa conclusione soltanto con una riflessione semplicistica che esuli dal contesto in cui la sua riflessione si sviluppa ma, nonostante questo, è ugualmente interessante conoscerne meglio alcuni aspetti.
I Saggi comprendono infatti diverse argomentazioni in cui appare chiara la posizione di Michel de Montaigne contro la crudeltà perpetrata nei confronti degli Animali e tra queste vale la pena di citare la sua riflessione relativa all’assuefazione alla ferocia:
Dopo che a Roma ci si fu abituati agli spettacoli delle uccisioni degli animali, si passò agli uomini e ai gladiatori3
Chiara appare l’influenza di Plutarco su tali posizioni, per quanto questa non fosse ugualmente esplicita e dunque goda di meno “popolarità”.
Montaigne non ha bisogno di credere che in un Animale si possa ritrovare un’anima precedentemente umana o che vi sia una parentela tra noi e le “bestie”, per essere indotto a riconoscere «un certo rispetto e un generale dovere di umanità che ci lega non solo alle bestie che hanno vita e sentimento, ma anche agli alberi e alle piante»4
E ancora, la somiglianza tra noi e gli Animali è così grande, persino negli eventuali difetti, che sembra dunque conseguenziale rinunciare «a quella sovranità immaginaria che ci è data sopra le altre creature»5
Montaigne confronta Umani e Animali anche in relazione a diverse qualità morali come fedeltà, gratitudine magnanimità e pentimento e sulla base della capacità di associarsi e mette in discussione alla base la presunta superiorità umana chiedendosi se questa non sia “testimonianza della nostra imperfezione e debolezza; poiché invero sembra che la scienza di distruggerci e ucciderci a vicenda, di rovinare e perdere la nostra stessa specie, non abbia molto di che farsi desiderare dalle bestie che non la possiedono”.6
Fondamentale, per comprendere appieno cosa il filosofo ci vuole dire, approfondire il concetto di “presunzione”, il più sciocco e universale dei vizi, di cui dice: “Sembra, in verità, che la natura, per consolarci del nostro stato miserabile e meschino, ci abbia dato solo la presunzione”7, e che è per lui l’origine della nostra autoattribuita idea di superiorità sugli Animali.
Non è per un vero ragionamento, ma per una folle superbia e ostinazione che ci mettiamo al di sopra degli animali e ci isoliamo dalla loro condizione e compagnia. Noi abbiamo, per parte nostra, l’incostanza, l’irresolutezza, l’incertezza, il dolore, la superstizione, la preoccupazione per le cose future, per l’al di là, cioè; l’ambizione, l’avarizia, la gelosia, l’invidia, i desideri sregolati, forsennati e indomabili, la guerra, la menzogna, la slealtà, la calunnia e la curiosità. Certo, abbiamo davvero strapagato quella bella ragione di cui ci gloriamo, e quella capacità di giudicare e di conoscere, se l’abbiamo acquistata al prezzo di questo numero infinito di passioni delle quali siamo continuamente in preda.
Ma l’aspetto più interessante della riflessione di Montaigne, è in effetti quello che meno ci si aspetterebbe di poter individuare come caratterizzante di un’argomentazione filosofica, ovvero la stessa ammissione da parte del filosofo che, in vero, il riconoscimento degli Animali come esseri degni di attenzione non sia necessariamente argomentabile e che l’empatia sia invece il prodotto di «un’occulta, naturale e universale proprietà, senza legge, senza ragione, senza esempio»8.
Questo farà sicuramente inorridire chi sia portato all’argomentazione e forse anche chi scrive difficilmente si convincerà mai dell’impossibilità assoluta di confutare con argomenti concreti quelle che sono le basi della considerazione degli Animali, ma è interessante approfondire ciò che Montaigne vuole dirci, ovvero che l’esperienza morale della “simpatia” sia in effetti ardua da confutare e di per sé, anche non razionalmente spiegata, potrebbe costituire, nonostante questo, una base solida per istanze filosofiche e politiche ben più costruite e strutturate.
Le azioni più empie dell’Umano, scrive Montaigne, prendono le mosse dall’indifferenza e si compiono «senza odio, senza profitto».9
La simpatia non ha bisogno di una completa conoscenza e permette di cogliere qualsiasi segnale mettendoci nella condizione di dare voce a chi non ne ha e ha come premessa la completa apertura e predisposizione ad “ascoltare” la muta eloquenza.
Quanto a me, non ho mai potuto veder senza dispiacere inseguire e uccidere neppure una bestia innocente, che è senza difesa e dalla quale non riceviamo alcuna offesa. E quello che accade comunemente, che il cervo, sentendosi senza fiato e senza forza, non avendo più altro scampo, si rimette e si arrende a noi stessi che lo stiamo inseguendo, chiedendoci grazia con le sue lacrime, […] questo mi è sempre sembrato uno spettacolo spiacevolissimo10
Ed è da considerare, soprattutto, che Montaigne accosta alle vittime animali anche le vittime umane che, a suo parere, vengono rese simili agli Animali perché ridotte al silenzio.
Come direi di coloro che sono mandati al supplizio dopo che è stata loro tagliata la lingua.
Umani e Animali, confrontati e analizzati nel loro vero essere e, per questo, uguali o no nella forma, tragicamente o felicemente uguali.
Ada Carcione – Veganzetta
(Per approfondimenti si consiglia la lettura del documento: Saggio sullo specismo, di Michel de Montaigne, tratto dagli Essays, N.d.R.)
Note:
1) Michel de Montaigne, “Della crudeltà”, in Saggi, tr. it. di F. Garavini, Adelphi, 1992, II, 11, p. 559.
2) «La domanda da porre non è ‘Possono ragionare?’ né ‘Possono parlare?’ ma ‘Possono soffrire?’» (J. Bentham, Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione, a cura di E. Lecaldano, traduzione e note di S. Di Pietro, UTET, 1998, p. 423, nota 1).
3) Michel de Montaigne, “Della crudeltà”, op. cit., p. 560.
4) Ivi, p. 563.
5) Ivi, p. 560.
6) Idem., Saggi, libro II, cap. XII, p.614
7) Ivi, I, p. 636.
8) Idem., “Della crudeltà”, op. cit., p. 553.
9) Ivi, p. 559.
10) Idem., “Della crudeltà”, op. cit., p. 559.
Se hai letto fin qui vuol dire che questo testo potrebbe esserti piaciuto.
Dunque per favore divulgalo citando la fonte.
Se vuoi Aiuta Veganzetta a continuare con il suo lavoro. Grazie.
Avviso legale: questo testo non può essere utilizzato in alcun modo per istruire l’Intelligenza Artificiale.