Antispecismo e violenza


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3 minuti

Commento privato ricevuto in data 1 maggio 2015:

Mi piacerebbe conoscere la vostra posizione circa i fatti accaduti nella giornata odierna (vista la partecipazione di numerosi vegan e antispecisti) e su questa “polemica” riguardo il concetto di violenza:

1. Comunicato Earth Riot
earthriot.altervista.org

2. Risposta al comunicato e successiva controrisposta
informa-azione.info

Grazie


La posizione di Veganzetta a riguardo dell’uso della violenza è chiara, ed è quella descritta di seguito:

Faq 6 – Il pensiero antispecista giustifica l’uso di pratiche violente di lotta?1

No. L’antispecismo non può accettare il principio secondo il quale, per giungere alla liberazione animale e umana, si debbano adottare le stesse metodologie che utilizza la società specista, dominatrice e violenta per mantenere lo stato delle cose. Il fine non giustifica mai i mezzi, pertanto l’utilizzo della violenza nei confronti dei viventi, se non come atto estremo di legittima difesa, non è ammissibile.
La lotta antispecista è una lotta di nonviolenza (anche se non si esclude aprioristicamente l’uso della violenza per autodifesa), intesa come spinta a un cambiamento radicale della società umana attuale, in chiave liberazionista.

La matrice nonviolenta nasce dal concetto stesso antispecista di opposizione a qualsiasi pratica di sfruttamento e di dominio: nei confronti di chi può provare dolore (vedasi il concetto di painismo), e in senso lato sugli altri esseri viventi. La volontà di non controllare e dominare gli altri esseri senzienti, colloca l’antispecismo anche su posizioni libertarie e antigerarchiche, oltre che nonviolente. Opporsi alla violenza della società specista, combattere il paradigma del “diritto del più forte” che ci viene inculcato sin dalla nascita, con le stesse metodologie e pratiche usate dalle strutture sociali che si intende abbattere, e costringendo gli altri a piegarsi al nostro volere con la forza, equivarrebbe a tradire l’ideale antispecista.
Nessun fine può giustificare mezzi, che significano percorsi esperienziali privati e pubblici, lotte e pratiche di vita, che dovrebbero formare il nucleo stesso del futuro aspecista, ma che se si connotano come pratiche di controllo e dominio, non farebbero altro che perpetuare e alimentare l’attuale modello sociale.
La pratica antispecista, dunque, è già materializzazione del fine che persegue con coerenza; ciò significa evitare l’utilizzo di metodologie che andrebbero a contrapporsi al fine prefissato: coercizione, controllo, dominio, violenza (intesa come atto fisico o psicologico diretto contro i viventi per piegarli al nostro volere), e in generale imposizioni che inneschino logiche gerarchizzanti da “vincitori e vinti”, non possono appartenere all’antispecismo.
In sintesi si può anche affermare che non si mira alla presa del potere, ma alla sua eliminazione, e ogni azione diretta è auspicabile se non causa atti violenti contro i viventi.

Il discrimine tra violenza e atto diretto di liberazione è, per l’appunto, l’assenza nel secondo caso di attività che possano danneggiare gli esseri viventi. Ciò non rappresenta in verità nulla di nuovo, infatti è lo stesso principio che ha sempre guidato la ben conosciuta filosofia A.L.F. (Animal Liberation Front) sin dalla sua nascita: è lecito quindi porre in essere atti utili alla liberazione degli Animali, se questi non causino danni ai viventi. Pertanto quando si parla di violenza, dal punto di vista antispecista, lo si dovrebbe fare intendendo atti diretti a danneggiare l’incolumità di un vivente (qualunque vivente, anche gli Umani). 
Il testo citato afferma anche:

In sintesi si può anche affermare che non si mira alla presa del potere, ma alla sua eliminazione, e ogni azione diretta è auspicabile se non causa atti violenti contro i viventi.

E’ il concetto stesso di potere che risulta quindi molto problematico, in quanto prefigura l’inevitabile ricaduta in logiche caratterizzanti l’attuale sistema sociale che si intende combattere. Da tali considerazioni sono esclusi tutti quegli atti diretti necessari alla liberazione di Animali che altrimenti sarebbero destinati a sofferenze, prigionia o morte che possono essere tranquillamente essere considerati atti in difesa dei più deboli in situazioni di pericolo o difficoltà. Quanto detto può facilmente far comprendere che la lotta antispecista dovrebbe mirare a un cambiamento sociale non imponendolo con la forza, ma con l’affermazione culturale.
Chiunque potrà trarre le proprie conclusioni e capire quali possano essere le prassi di lotta di chi si considera realmente antispecista, se la violenza non necessaria all’autodifesa, in senso stretto o in senso lato, possa essere considerata una strategia di lotta, e comprendere le differenze sostanziali tra i comunicati citati dal nostro lettore che ringraziamo per l’occasione di riflessione che ci ha fornito.

Veganzetta

Note:

1) Adriano Fragano, Proposte per un Manifesto antispecista. Teoria, strategia, etica e utopia per una nuova società libera, NFC Edizioni, 2015, pp. 42-44.

 
25 Commenti
  1. Rita ha scritto:

    Mi sono espressa brevemente con un post su Facebook e mi ripeto volentieri anche qui, magari argomentando meglio.
    Per quanto sia comprensibile la rabbia contro l’attuale sistema che domina i corpi animali e che istituisce strutture in cui si esercita una violenza e privazione della libertà costanti, credo che spaccare vetrine e incendiare auto non sia utile. Per me sono gesti che equivalgono alle urla dissennate di alcuni animalisti in certi contesti, magari rivolti contro l’onnivoro o la donna impellicciata di turno. Sono sfoghi di pancia, che non comprendono una reale decostruzione del sistema nel suo complesso e che anzi danno il là al pretesto per una stigmatizzazione delle giustissime istanze di lotta da cui, in teoria, muovono questi gesti (ma senza averli saputo incanalare in strategie utili ed efficaci).
    Sono a favore delle pratiche nonviolente in cui ci si fa scudo con i nostri corpi o anche per azioni di sabotaggio e distruzione di oggetti purché inseriti in un reale contesto di liberazione. Faccio un esempio: se entro in un allevamento con l’intenzione di liberare degli individui, posso contemplare l’idea di spaccare vetri o divellere porte, ma perché sono azioni mirate a uno scopo ben preciso. Ritengo anche utile il boicottaggio o determinate strategie che portano danno economici (utile la campagna contro la KLM, ad esempio, in cui si mira a ottenere il divieto del trasporto degli animali dai loro luoghi d’origine ai laboratori di vivisezione sparsi in tutto il mondo), ma la distruzione coatta e il danneggiamento di spazi pubblici cittadini, oltre che sciocco (perché inutile) è anche deleterio in quanto poi, chi pagherà quei danni? Gli stessi cittadini che, in teoria, si dovrebbe liberare dal dominio dello stato e delle istituzioni.

    2 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Grazie Rita per il tuo punto di vista, a prescindere dal luogo dove si sviluppa – e dagli eventi di cronaca – un confronto sull’argomento è da ritenersi estremamente utile.

      2 Maggio, 2015
      Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Molto chiara la tua posizione. Si può quindi anche affermare, in base a ciò che tu dici, che a seconda della situazione e della contingenza si possano decidere atti diretti che portino all’immediata liberazione di Animali (danneggiamento di oggetti), mentre gli stessi atti se portati a termine in contesti diversi non solo non sarebbero utili, ma addirittura controproducenti.

      2 Maggio, 2015
      Rispondi
  2. Roberto Contestabile ha scritto:

    Riporto il mio commento prendendo spunto da una citazione che ho letto su facebook:
    “da ELETTORE DI SINISTRA, spero che la polizia li raduni in una bella scuola e mischi loro le ossa.”

    Che dire? Fa proprio slogan ipocrita coerente con confusione fascista. La vera lotta sociale contro le lobby di potere è assolutamente NONviolenta e d’ispirazione culturale, una cultura che nasce e cresce dal basso e non da fazioni violente e totalitarie. Non certamente spaccando vetrine e incendiando auto che si otterranno buoni risultati in termini di liberazione individuale. Indubbiamente questi gruppi sovversori altro non sono che figli stessi di questo sistema politico finanziario corrotto e sanguinario. Per cui è opportuno pensare e riflettere che fino a quando non esisterà una vera ed autentica presa di posizione antispecista umana che ponga in essere l’individuo come ospite non protagonista indiscusso degli eventi terrestri, nulla mai si otterrà positivamente e concretamente per rendere l’umano un passeggero vivente, rispetto invece ad un protagonista opportunista e bugiardo che da secoli ormai regna indiscutibilmente in un territorio antropocentrico costruito artificialmente.

    2 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Caro Roberto,

      Questo individuo che tu citi rappresenta in pieno lo specchio della società contemporanea.
      Chiaramente quanto accaduto è in tutto e per tutto funzionale al sistema, anzi è il sistema stesso che si autocelebra.

      2 Maggio, 2015
      Rispondi
  3. Lorenzo Bresciani ha scritto:

    Grazie per aver soddisfatto la mia curiosità.

    Quindi sia che venga fatta nei confronti di cose, sia che venga fatta nei confronti di persone (umane o non umane) sempre della stessa violenza si tratta? Senza nessun distinguo? Un’automobile subisce violenza come potrei subirla io o un maiale ad esempio? Sono d’accordo sul fatto che dare fuoco alle automobili (di cittadini che non avevano nessuna colpa) non abbia alcun senso. Mi chiedo però perché non sia accettabile, in ottica anticapitalista, imbrattare/danneggiare per esempio la vetrina di una banca che del capitalismo è simbolo.

    Chiedo scusa per le mie mille domande ma so che qui posso trovare delle risposte :)

    2 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      No non si tratta della stessa violenza.
      Si dovrebbe parlare di atto propriamente violento, nel momento in cui tale atto può danneggiare degli esseri viventi, mentre non si parla di atto propriamente violento, se mediante esso si danneggino degli oggetti.
      Chiaramente in questo secondo caso è sempre doveroso ponderare se tale atto sia effettivamente utile e opportuno.
      I distinguo pertanto ci sono e sono molto netti.
      Nello specifico imbrattare o distruggere la vetrina di una banca forse può avere un valore simbolico per degli attivisti anti-capitalisti, ma ai fini pratici il risultato è nullo se non controproducente: le banche sono assicurate, si genererà lavoro e giro di denaro per ripristinare le strutture danneggiate, le istituzioni avranno l’opportunità di prendere provvedimenti liberticidi e repressivi con l’appoggio dell’opinione pubblica, e via discorrendo. Come in tutte le questioni vi sono pro e contro, in ogni caso si ribadisce che l’antispecismo non dovrebbe tollerare alcun uso di metodi violenti atti a costringere con la forza altri a sottostare alla nostra volontà.

      3 Maggio, 2015
      Rispondi
  4. Lorenzo Bresciani ha scritto:

    Quello che mi da fastidio è che ci si indigni tanto per una macchina che brucia, mentre se a bruciare è un’intera foresta non gliene frega nulla a nessuno (se non a pochi). Che poi, nel primo caso, sono le stesse persone che ignorano lo schifo che si cela dietro ad eventi come questi (multinazionali, sfruttamento animale, land grabbing, deforestazione, mafia, precariato).

    3 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      E’ una questione di percezione: l’auto è una proprietà privata e come tale viene percepita, quindi il danno potrebbe colpire direttamente le persone e questo causa disagio, le foreste non lo sono, pertanto nella nostra scala totalmente sbagliata di valori rivestono un’importanza nettamente inferiore. Se vogliamo possiamo anche considerare la questione dei monumenti: vi sono alberi molto più antichi di monumenti eretti dall’Umano, eppure nessuno se ne occupa. Se frana un muro a Pompei è una tragedia (ed è giusto che sia così), se muore un ulivo millenario a chi interessa?

      3 Maggio, 2015
      Rispondi
  5. hoka hey ha scritto:

    lascio questo limk per un approfondimento sul tema della violenza. Gunther Anders stato di legittima difesa http://www.autistici.org/controilnucleare/wp-content/uploads/2011/02/ViolenzaSioNO_op.pdf
    Mi chiedo però se i partigiani, armi alla mano, abbiano sbagliato a cercare di imporre con la forza la fine della dittatura e del dominio fascista… e se la risposta è no perchè si autodifendevano non potremmo percepire lo stesso principio di autodifesa contro un sistema che ci sta uccidendo in maniera subdola e indiretta ma con lucidità assassina (inquinando aria e terra, devastando le popolazioni animali, schiavizzando gli esseri umani in nome del profitto) ? Non potrebbe percepire come violena contro se stesso e timore per la propra incolumità anche l’allevatore di visoni o il vivsettore quando qualcuno libera gli animali o gli imbratta la casa? Anche quei gesti possono essere percepiti come violenti da chi li subisce…e allora è sbagliato? Qui la questione non è se una persona è violenta o no -non si tratta di un’indole- ma di una strategia utlizzata da alcuni individui come risposta alla violenza che viene subita quotidianmente e perpetrata sistematicamente. La violenza rivoluzionaria non è mai il fine ma solo un mezzo per ottenere la fine di una violenza sistematica monopolio delle istituzioni.

    3 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Grazie hoka hey per il link.
      Non si vuole certo fare in questa sede una critica organica al pensiero di Anders, ma nel suo scritto si scorge perlomeno un punto discutibile, per esempio a pagina 9 del documento si scrive:

      1. Fine del pacifismo

      Si mormora che Lei non voglia essere definito “pacifista”. Comprenderà bene che questa diceria ci ha stupiti. E ci ha perfino spaventati.

      Ciò è superfluo. Quel che io intendo dire col rifiuto di una tale catalogazione, è il semplice fatto che oggi chi si definisce ancora “pacifista”, sembra per questo ammettere acriticamente che si potrebbero raggiungere obiettivi politici anche con metodi non pacifici. Ma poiché ora questo non è più il nostro caso, dato che oggi ogni guerra, per lo meno ogni guerra tra superpotenze – ma ormai oggi sono “atomicamente maggiorenni” anche gli Stati più piccoli – sfocerebbe automaticamente e probabilmente, già dopo pochi minuti, in una catastrofe totale; poiché – come ho asserito già 30 anni fa – non esiste più nessuno scopo di guerra che non verrebbe distrutto attraverso l’effetto dello strumento della guerra stessa (essendo ogni effetto incomparabilmente più grande di quanto potrebbe essere qualsiasi pensabile o desiderabile scopo), non esiste pertanto alcuna alternativa all’essere pacifista. Al posto del comunque non veritiero slogan “Il fine giustifica i mezzi”, dovremmo oggi porre la vera visione: “I mezzi distruggono i fini”. Stando così le cose, non c’è più nessuna alternativa all’essere pacifista. E per questo io non lo sono. Laddove non esiste più alcuna alternativa, un’espressione particolare come “pacifista” è superflua.

      Su Veganzetta si è sempre scritto che “il fine non giustifica i mezzi”, Anders ammette che il criterio “il fine giustifica i mezzi” non è veritiero, quindi il fine non li giustifica. Egli propone una nuova lettura della nostra situazione, ossia “i mezzi distruggono i fini”, questo in chiaro riferimento al fatto che i mezzi (le armi) sono talmente potenti (nel testo si parla delle armi nucleari) da distruggere il fine stesso per cui potrebbero essere utilizzate. Quindi Anders dice che non c’è nessuna alternativa all’essere pacifista, nel senso che le altre alternative condurrebbero alla distruzione (vedasi l’uso dei mezzi di cui sopra), per tale motivo lui non vede alcun motivo per definirsi pacifista.
      Domanda: ma se i mezzi non giustificano il fine, e quindi i mezzi devono essere coerenti con il fine stesso e non scollegati da esso, come è possibile usare la violenza per ottenere la pace? E se secondo Anders non c’è alternativa al pacifismo, per quale motivo afferma che è necessario difendersi con la violenza?
      Queste cose lui non le esplicita, ciò probabilmente fa parte della problematicità di un pensiero secondo il quale si debba usare la violenza per giungere alla pace, ciò che invece si può forse ottenere è una situazione pacificata con la forza, che non è certo la stessa cosa: nel momento in cui chi l’ha imposta diviene debole, i “pacificati coatti” tornerebbero ad attaccare perché non sono mai stati convinti della pace. Ecco perché, per esempio, il fascismo – inteso nel senso classico del termine – riemerse sempre più spesso dalle pieghe della società moderna.

      Ma torniamo al tuo commeto.
      Il paragone con i partigiani della lotta di liberazione del nazi-fascismo è strumentale tanto quanto le solite prese di posizione del tipo: se fossi in un’isola deserta con solo una Gallina la mangeresti? o Chi butteresti dalla torre et similia.
      Chi ha vissuto di persona il fascismo potrà raccontare cosa significava e quali erano le differenza con la società contemporanea (che è fascista ma in un senso diverso e molto più subdolo non attentando direttamente e fisicamente alle esistenze dei singoli come accadeva nel ventennio). Non che quest’ultima sia quindi una società libera – assolutamente no – ma non ci può essere per i motivi di cui sopra un paragone diretto.
      In ogni caso per quanto riguarda la Resistenza, si è trattato indubbiamente di una lotta armata – e quindi violenta – di autodifesa e autoliberazione inserita in una situazione di guerra aperta a livello internazionale.
      La lotta partigiana – per la quale nutriamo rispetto e riconoscenza assoluti – non può essere tirata in ballo in questa maniera. Basterà leggere gli stessi scritti degli intellettuali antifascisti dell’epoca (partigiani, esiliati o non) per poter scorgere la tragica dicotomia tra il tentativo di tutelare la propria umanità e la violenza disumanizzante dell’epoca necessaria semplicemente per sopravvivere.
      Il paragone con la situazione sociale attuale, pertanto, è semplicemente improponibile anche perché – tra l’altro – il sistema di cui tu parli che ci sta uccidendo in maniera subdola e indiretta (è vero), all’epoca della Resistenza era già ben presente e radicato. In una interessantissima mostra allestita all’interno del Forte Marghera a Mestre (VE) conclusasi pochi giorni fa e curata dalla locale Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, si ripercorre per immagini e testi la storia dei lager nazisti gestiti dalle SS, in uno dei pannelli è riportato mediante uno schema molto efficace, l’importo in marchi tedeschi che il governo nazista ricavava dallo sfruttamento di ogni singola persona internata in un campo di concentramento: circa 200 marchi tedeschi dell’epoca derivanti dal lavoro dell’internato, dai suoi averi confiscati, dall’affitto dell’internato a ditte private tedesche filo-naziste per il suo sfruttamento (lavoro, esperimenti medici ecc…), fino all’impiego delle sue ceneri – una volta cremato – utilizzate come foraggio per gli Animali o fertilizzante. Come puoi ben capire la macchina capitalistica che tu descrivi ora era già abbondantemente avviata e oliata all’epoca, ciò solo per far comprendere l’eccezionalità della situazione che i Partigiani hanno dovuto affrontare.
      Con quanto scritto si vuole solo specificare che le due situazioni (quella della società fascista degli anni ’20 del secolo scorso e l’attuale) non sono paragonabili anche avendo moltissime similitudini.

      Un allevatore di Visoni di sicuro percepirà una liberazione come una violenza contro i suoi interessi, un danneggiamento dei suoi affari derivanti dallo sfruttamento di Animali innocenti, un attentato al suo reddito, ma non altro. Una liberazione diretta è però un atto derivante dalla constatazione che altro non è possibile fare per dare la libertà a degli esseri senzienti. Anche sfondare il vetro di un’auto per estrarne un essere senziente (Umano o no) che sta morendo sotto il sole estivo è un atto di liberazione, di sicuro il proprietario dell’auto si sentirà aggredito, ma questo – se permetti – è di sicuro un atto estremo in risposta a una situazione estrema e legata alla contingenza.
      Giustamente tu dici che la questione da considerare è di carattere strategico. Questo è il punto. Se di strategia si parla è indubbio che essa necessiti di una organizzazione e prefiguri una pianificazione a monte. Ogni atto violento dovrebbe essere soppesato per comprenderne le implicazioni. Come antispecisti dobbiamo essere consapevoli che ogni nostro atto (positivo o negativo, violento o non violento) ha una o più conseguenze. Tale esercizio può aiutarci a comprendere quando un atto (violento o no) può risultare utile nell’immediato o utile in una prospettiva futura.
      Se si tratta di liberare o salvare qualcuno, di aprire le gabbie a dei prigionieri, di fermare l’esecuzione di qualcuno, tale atto è sempre giusto e percorribile.
      Ma la violenza non può essere considerato un mezzo, è un evento straordinario da inquadrarsi in un metodo di lotta non violento (che non significa la rinuncia alla difesa), questo perché se combattiamo il sistema con le sue stesse armi, vi sono vari scenari possibili:

      1) diveniamo funzionali al sistema. Infatti ti basterà leggere i giornali italiani di questi giorni per comprendere quanto danno abbiano fatto gli scontri del 1° maggio: nessuno parla più di EXPO e dei suoi danni, nessuno parla delle ragioni delle proteste NOEXPO e delle posizioni di chi vi si oppone, ma solo dei black bloc e della ripulitura della città.
      In un sol colpo si sono tacitate le voci di dissenso e di critica sociale e politica e si è sviata l’attenzione su questioni di ordine pubblico e di orgoglio cittadino.
      Se non è un elemento funzionale al sistema questo, quale potrebbe esserlo?
      2) giungiamo a ottenere il successo che speriamo, ma con la forza, con atti di coercizione, controllo, dominio e violenza, imponendo la nostra idea di società alle altre persone che non la condivideranno, ma la dovranno accettare per paura di subire una punizione (come accade per le leggi che obbligano a determinati comportamenti i singoli prevedendo sanzioni e punizioni per chi non si adegua). A prescindere dalla giustezza dell’idea di partenza è questo che davvero vogliamo?
      3) utilizzando la violenza ci si pone allo stesso livello delle forze del sistema che sono atte a mantenere l’”ordine”, ammesso e non concesso che tale soluzione sia eticamente accettabile, pensi davvero di avere qualche speranza di vittoria in un confronto violento o armato con le istituzioni? Quali scenari potrebbero prefigurarsi se non quelli di una sconfitta combattendo sullo stesso piano forze che si alimentano dal sistema stesso, il quale trae linfa anche da chi lo combatte? (ti basterà comprare del cibo, degli oggetti, del carburante, prendere un treno, per contribuire mediante la tassazione già inclusa delle transizioni commerciali a finanziare i mezzi di repressione dello Stato).
      4) i punti di cui sopra non tengono conto dell’opinione pubblica facilmente manipolata dai media asserviti al regime che avrebbero gioco facile nel loro lavoro una volta che le proteste diventassero violente (vedasi cosa sta accadendo in questi giorni).

      Se vogliamo tutto ciò dal punto di vista pragmatico ci riporta a quanto affermava Anders sull’inevitabilità di una pratica (lui parla di pacifismo che è altro rispetto alla non-violenza): non ci sono alternative valide alla nonviolenza se si vogliono raggiungere dei risultati tangibili.
      Se vogliamo invece considerare la questione dal punto di vista etico, non è possibile l’uso di violenza diretta su esseri viventi se vogliamo rispettare i fondamenti dell’idea antispecista.

      Quindi la vera sfida non consiste nell’uso della violenza, ma nel trovare nuove modalità di conflitto sociale che non la utilizzino e che spiazzino il potere costituito fino a provocarne una crisi strutturale e porre fine alla sua violenza.

      4 Maggio, 2015
      Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      END-CIV è un video molto interessante e stimolante, ricco di spunti di riflessione.
      Se ne consiglia senza dubbio la visione.

      4 Maggio, 2015
      Rispondi
    • Cinzia ha scritto:

      Grazie a hoka ehi per i consigli di lettura e video.
      È’ ora di scegliere senza compromessi con i poteri, che si nascondono dietro democrazie strumentali.
      Fanc….alla pazienza.

      6 Maggio, 2015
      Rispondi
  6. Roberto Contestabile ha scritto:

    “Quello che mi da fastidio è che ci si indigni tanto per una macchina che brucia, mentre se a bruciare è un’intera foresta non gliene frega nulla a nessuno (se non a pochi).”

    Esattamente. Questo perchè viviamo in una società capitalista, consumista e pertanto materialista. Un sistema sociale basato sul raggiungimento di un profitto, ovvero una capitalizzazione di denaro, altro non può creare e contribuire alla necessità di un soddisfacimento materiale dettato da un bisogno indotto, in questo caso oggetti. Ogni oggetto rappresenta un prodotto, un simbolo, uno status, un generatore di piacere: auto, abbigliamento, smartphone e (peggio) parti di Animali venduti un tot. al kg.
    Questo non significa che bisogna vivere in isolamento, rifiutare o peggio rinnegare ogni sviluppo in termini di evoluzione. Le alternative ci sono e bisogna perseguirle. Il veganismo etico è un buon stile di vita. L’antispecismo inteso come ideologia è un ottimo mezzo di diffusione pacifista. Esempi come l’Expo, o altre spettacolarizzazioni commerciali, non fanno bene a nessuno e soprattutto non creano nessun tipo di benessere comune collettivo solidale e pacifico. Anzi…esattamente l’opposto. Le big corporations sono concepite per costruire utili, non certamente donazioni spicciole a un Terzo mondo devastato da un capitalismo esasperato figlio illegittimo delle stesse popolazioni affamate.
    Tutto è all’eccesso. Un benessere lussuoso e psicotico che trascina ogni morale umana solidale e tollerante in uno stato ignorante e silenzioso. Purtroppo la gravità di questo eccesso si è evoluta in psicosi moderna, trasformando questa materializzazione di bisogni in un vero e proprio delirio commerciale in cui il cibo in primis, ed ogni uso o abitudine umana, è parte integrante di uno sfruttamento. Gli Animali sono all’apice di questo delirio sanguinario. Gli Animali dopo secoli di schiavitù forzata sono diventati vittime inconsapevoli di un sistema produttivo nato e concepito in una meccanizzazione tecnologica da cui oggi si trae ogni beneficio egoista. Gli Animali sono oggetto di un soddisfacimento materiale. E di conseguenza gli Umani, unici artefici di questo progetto ipocrita ed egoista, sono i protagonisti principali apparentemente solo vincitori.

    “Chiaramente quanto accaduto è in tutto e per tutto funzionale al sistema, anzi è il sistema stesso che si autocelebra.”

    Non a caso le forze di polizia sono state create come strumento di sovversione ad ogni azione rivoluzionaria, piuttosto che prevenire crimini e violenza. Non a caso gli eserciti servono per sopprimere ogni diritto liberare e democratico, piuttosto che difendere l’incolumità pubblica. E soprattutto non a caso ogni vetrina, auto o strada devastata…servirà per alimentare altra speculazione finanziaria, culturale e sociale. Ovvero finchè ci sarà violenza in risposta a violenza mai nulla si otterrà in termini di liberazione…animale ed umana.

    4 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Gli Animali sono oggetto di un soddisfacimento materiale. E di conseguenza gli Umani, unici artefici di questo progetto ipocrita ed egoista, sono i protagonisti principali apparentemente solo vincitori.

      Giusta considerazione.

      5 Maggio, 2015
      Rispondi
  7. Leo ha scritto:

    Ma il confine dell’autodifesa dove sta? Quando quotidianamente siamo attaccati dai mezzi violenti del dominio, ogni azione contro di essi diventa legittima.

    4 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao Leo la risposta alla tua domanda potresti forse trovarla nell’ampia risposta fornita a hoka hey, se la questione non è chiara si possono fare ulteriori chiarimenti.

      5 Maggio, 2015
      Rispondi
  8. Lorenzo Bresciani ha scritto:

    La Storia insegna ma per svariati motivi non apprendiamo mai da essa. Voglio dire, il passato è pieno di rivoluzioni/prassi violente (non le giudico) però se oggi siamo qui a sognare una società migliore, forse c’è bisogno di una nuova strategia, di un diverso approccio. Per rifarmi alle parole di Roberto, il grande Tiziano Terzani diceva che “violenza genera violenza” e credo che in qualche modo avesse ragione.

    4 Maggio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Grazie Lorenzo per il link che verrà visitato

      5 Maggio, 2015
      Rispondi
  9. hoka hey ha scritto:

    come puoi dire che la società odierna non attenta alle vite direttamente e fisicamente? e i morti d’amianto, di tumore vicino all’ilva, le terre del fuoco, il nucleare? i pesticidi negli alimenti, la manipolazione genetica?
    La guerra l’abbiamo ancora in casa ma fatichiamo a riconoscerla: le città cono militarizzate, le carceri ovunque, e ci sono decine e decine di aldrovandi o cucchi senza nome o famiglia che lotti per loro.
    Pensi che chi oggi imbraccia un arma o un qualsivoglia strumento considerato violento (dal potere ovviamente il quale è unico detentore della violenza) non debba tutelare in qualche modo la propria umanità? Pensi che Nicola Gai e Alfredo cospito siano psicopatici disumani che per sadismo abbiano gambizzato adinolfi? Non credi che stessero cercando di liberarli tutti noi da un vile indifferente delle vite altrui il cui unico interesse era aumentare il capitale di Ansaldo NUCLEARE? E siccome il modo in cui cercano di ucciderci e sfruttarci è subdolo la resistenza non può essere paragona? Io non parlo di quello che fa il nemico ma di quello che chi, in coscienza sua, ha deciso di fare per resistere appunto ad uno stato di dominio e sfruttamento. Non protestare ma resistere – “La protesta è quando dico che una cosa non mi sta bene. Resistenza è quando faccio in modo che quello che adesso non mi piace non succeda più. »

    L’allevatore di visoni non percepisce l’atto come violenza solo contro i suoi interessi ma anche contro la sua persona. Pensa ad un allevatore terrorizzato da un auto in fiamme…pensa all’ALF che inviava corone di fiori per funerale a giovanna soprani…
    Come dici tu Ogni atto violento dovrebbe essere soppesato per comprenderne le implicazioni e questo compito lo lascerei a chi ha deciso di compiere quel gesto. “«Quando un uomo, nell’attuale società, diventa un ribelle cosciente delle proprie azioni, è perchè ha fatto nel suo cervello un lavoro di analisi doloroso le cui conclusioni sono imperative e non possono essere eluse se non per vigliaccheria. Lui solo tiene la bilancia, lui solo è giudice della ragione o del torto di odiare e di essere selvaggio, “perfino feroce”».”
    L’azione violenta (che è quindi rivoluzionaria), e non la violenza come fine, è un mezzo che dovrebbe essere annoverato nella famosa cassetta degli attrezzi, poi sta a ciascuno decidere se usare o meno quell’arnese. Ma non escluderlo a priori.

    Se l’atto violento è funzionale al sistema pensi che la nonviolenza non lo sia? anzi lo è maggiormente perchè fortifica la concezione del monopolio statale della violenza. Non dovremmo stare a considerare i giornali, se fossimo intelligenti avremmo già capito che sono solo pennivendoli e non hanno il benchè minimo interesse ad esprimere una critica ad expo, suvvia. Tu stesso ammetti che i media sono asserviti al potere e allora non otterrai mai nulla da loro.
    Finalmente le voci hanno smesso di essere solo tali e si sono trasformate in azioni di contestazione, o anche solo di rabbia: la rabbia di essere sfruttati.

    Quello che secondo me sbagli nella tua analisi è che con un gesto non si ottiene il cambiamento di idea nella controparte ma si cerca di porre fine ad una pratica di sfruttamento, di qualunque genere essa sia- Pensi che gli allevatori di visoni che hanno chiuso in italia e nel mondo lo abbiano fatto perchè mossi da sentimenti di empatia??? Lo hanno fatto perchè qualcuno con la forza li ha obbligati. Certo sarebbe tutto molto più semplice se bastassero parole di convincimento ma le cose non stanno così e bisogna fare i conti con la realtà.

    Usando azioni violente non ci si mette la pari del sistema che si combatta per tre ordini di ragioni:
    1. Il sistema in cui siamo non lo abbiamo scelto ma siamo obbligati ad esso, e già questa è una costrizione, fin dalla nascita. Quindi veniamo al mondo già “violentati”(mi scuso per il termine forte ma mi pare dia il senso giusto in questo contesto).
    2. Data la prima ragione l’uso di azioni violente da parti di taluni è autodifesa, come appunto sostiene anders una legittima difesa.
    3. le azioni violente rivoluzionarie – di stampo anarchico – mirano alla liberazione dal dominio e alla cessazione dello sfruttamento, mentre la violenza istituzionale mire al mantenimento dell’esercizio del potere.
    Storicamente chi ha fatto la lotta armata non comprava ma espropriava- solitamente alle banche- e assaltava le caserme. E fondamentalmente anche chi la lotta armata non la fa finanzia chi dice di combattere (diciamo di combattere chi sfrutta la terra e intanto compriamo la benzina…il punto è che ci limitiamo a non fare niente).

    Il punto 4 chiarisce la sostanziale differenza che intercorre tra i nostri punti di vista: a me non interessa l’opinione pubblica, coacervo di indifferenza e noia, attrazione per ignavi.Sono maggiormente incline all’interesse per gli individui.
    E non mi interessa nemmeno rispettare i dettami di un altra religione che si chiama antispecismo. Quello che ricerco è la libertà individuale, l’assenza di schiavitù e sfruttamento.E ribadisco non è violenza diretta su un essere vivente ma autodifesa contro il genocidio e lo sterminio contro, non solo il genere umano ma le popolazioni animali che abitano il pianeta. (per inciso non credo che il boscimane che uccide una scimmia-quindi usa una violenza diretta- sia deprecabile…anche nel suo caso è sopravvivenza. E ritengo che le popolazioni primitive. le poche rimaste, siano molto più antispeciste di noi civilizzati che usiamo auto e industrie)

    6 Maggio, 2015
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    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao hoka hey,

      Prima di tutto grazie a titolo personale e a nome di Veganzetta per questo confronto. Di questi tempi riuscire a parlarsi e a esporre posizioni diverse su un argomento nel nostro ambiente senza sentirsi dare del fascista o dello sbirro, sta diventando sempre più raro.
      Grazie quindi per l’opportunità di affrontare pubblicamente alcuni aspetti fondamentali della lotta anti-sistema.

      Da quanto scrivi si evince che io non sia riuscito a spiegarmi bene, riproverò.

      Cercando di spiegare la diversità delle situazioni tra il contesto attuale e quello della Seconda Guerra Mondiale, cercavo solo di evidenziare che chi ha partecipato direttamente alla lotta partigiana subiva una doppia aggressione rispetto ad oggi: la società del capitalismo, del dominio e del controllo e l’aggressione armata di eserciti di altri Paesi. Non dimentichiamoci che quanto accade oggi in seno alla nostra società dei consumi, accadeva già all’epoca della Resistenza anche se in tono minore, e che le problematiche di oggi erano già presenti allora conclamate o in fieri (erano già avvenute le rivoluzioni industriali, il capitalismo era affermato, la cosiddetta rivoluzione verde doveva ancora avvenire ma i presupposti c’erano già tutti). La Bayer, per esempio, esisteva allora come esiste oggi, per esempio, idem per la Coca-Cola, come pure le multinazionali del petrolio, gli istituti bancari, le assicurazioni, le aziende automobilistiche che sfornavano carri armati, le industrie delle armi, quelle chimiche ecc… Molti dei veleni che ingoiamo oggi sono stati creati allora (i primi provvedimenti per tutelarsi dalle malattie indotte dall’amianto furono presi in Gran Bretagna nel 1930, l’energia nucleare nacque in quegli anni con il “battesimo” tenutosi in Giappone… Quindi niente di nuovo), le logiche a cui i cittadini erano sottoposti erano le stesse odierne, anche se oggi abbiamo raggiunto un livello estremo a causa del capitalismo globalizzato. Allora c’erano le colonie, c’erano le carceri, i manicomi (criminali e non), i lager (di sterminio e non), i campi di lavoro, le persecuzioni e discriminazioni delle minoranze avevano in quegli anni toccato l’apice (non servirà certo parlare di quanto fecero i nazisti e non solo loro)… Si potrebbe continuare a lungo. Quindi l’unica cosa che si voleva evidenziare è che non è possibile fare un parallelo tra le due situazioni, perché quella vissuta dai Partigiani era più complessa e inserita in uno scenario (oltre a quello appena descritto) di guerra internazionale dichiarata e formale. Oggi c’è una guerra continua a bassa intensità e quindi non si vuole affermare che sia meglio o peggio, ma semplicemente diverso.
      Tu operi una netta distinzione tra resistenza e protesta. Sicuramente hai ragione, ma la questione è più complessa.
      Mettiamo da parte (ma è possibile davvero farlo? E anche se fosse sarebbe giusto farlo?) il problema etico legato all’uso della violenza contro i viventi (aspetto antispecista che tu reputi una sorta di neo religione e che invece è semplicemente un paradigma sostitutivo all’attuale), concentriamoci invece sulla questione strategica.
      Il tuo approccio è limitato, nel senso non negativo o denigratorio del termine, ma semplicemente perché è utile a circoscrivere le problematiche del conflitto al contingente: parli di resistenza per far cessare ciò che adesso non ti piace, la cosa è perfettamente comprensibile e condivisibile, ma è deficitaria per quanto riguarda possibili scenari futuri. La ribellione riguarda un qualcosa di pratico e immediato, la rabbia è diretta contro degli obiettivi tangibili e precisi, ma strategicamente che fine potrebbe avere? L’azione violenta è utile nell’immediato, può cambiare una determinata situazione ma non comporta una soluzione di un problema se non esiste un progetto a più ampio respiro.
      Il fulcro del discorso lo hai evidenziato tu:

      Tu scrivi:

      Quello che secondo me sbagli nella tua analisi è che con un gesto non si ottiene il cambiamento di idea nella controparte ma si cerca di porre fine ad una pratica di sfruttamento, di qualunque genere essa sia- Pensi che gli allevatori di visoni che hanno chiuso in italia e nel mondo lo abbiano fatto perché mossi da sentimenti di empatia??? Lo hanno fatto perché qualcuno con la forza li ha obbligati. Certo sarebbe tutto molto più semplice se bastassero parole di convincimento ma le cose non stanno così e bisogna fare i conti con la realtà.

      Non si deve parlare di gesto, di atto (violento o non), ma di una strategia a lungo termine da porre in essere quotidianamente. Chi alleva Visoni cessa la sua attività di assassino perché costretto con la forza da qualcuno. E’ assolutamente esatto. Se questo atto di forza – o la minaccia di nuovi atti di forza similari – cessasse, questa gente tornerebbe a sfruttare i Visoni. E’ una soluzione? No. Tale situazione è identica alla minaccia alla quale ci sottopone il sistema quotidianamente: o fai come ti dico, o subirai le conseguenze. Un atto di forza non cambia la visione del problema, ne controlla solo gli effetti. Pensi che imporre con la forza – con la violenza diretta o con la violenza della legge come avviene oggi – una società antirazzista, antisessista o antispecista contribuirà a cambiare l’idea che razzisti, sessisti o specisti hanno del mondo?
      Se analizziamo sotto questo punto di vista (chiamiamolo progresso morale, crescita morale, senso di giustizia, senso di libertà, autodeterminazione… o come vuoi) tutte le rivoluzioni armate o violente della storia umana hanno fallito. Un’idea non si impone, la si condivide, ciò suonerà sicuramente ingenuo o utopistico, ma nella realtà dei fatti è una visione che trova riscontri continui. L’Italia è stata liberata dal nazifascismo con le armi e mai come oggi è piena di fascisti. Alla liberazione non è seguito un percorso culturale, morale e sociale di affrancamento dal fascismo (perlomeno quello istituzionale), non lo si è voluto fare, e ciò ci riporta nuovamente alla situazione di costrizione mediante un atto di forza: la ricostituzione di un partito fascista è vietata e verrebbe punita, ma la società è impregnata di fascismo.
      Quindi se teoricamente un atto violento si riuscisse a inserire in una più ampia strategia che miri a creare una nuova società dove la disuguaglianza, l’ingiustizia, la discriminazione, il dominio non esitono più, sarebbe chiaramente accettabile; ma se lo stesso atto di violenza è un atto di dominio, è un atto di controllo e quindi è gerarchizzante (in un atto di violenza c’è sempre il più forte e il più debole, chi vince e chi perde, chi attacca e chi si difende), come si potrà mai pensare che da ciò nasca qualcosa di non improntato al dominio, al controllo e alla gerarchia?

      Il passo di Anders evidenziato nel precedente commento evidenzia una incoerenze a cui Anders stesso non ha risposto, nemmeno tu lo hai fatto.
      Il problema esiste, inutile far finta di nulla. Anders ammette che il fine non giustifica i mezzi, quindi fine e mezzi devono essere coerenti.
      Tu scrivi che anche la non-violenza è funzionale al sistema, personalmente credo che sotto alcuni aspetti potrebbe esserlo, il dubbio – o meglio la possibilità – c’è, è invece fuor di dubbio che la violenza lo sia.
      Adottare azioni violente (contro i viventi) equivale ad ACCETTARE un terreno comune di scontro con il potere che in quanto tale è violento (se non lo fosse non esisterebbe). Esso esiste perché ha i mezzi per esercitare la minaccia della violenza o atti di violenza veri e propri per controllare e dominare. Ricorrere alle stesse metodologie, e in generale allo stesso approccio, significa accettare la sfida sul piano deciso in partenza dal potere stesso. In ogni caso ci dovrà essere un vincitore:

      1) il potere vince, schiaccia ogni resistenza con la forza e domina i singoli imponendo il proprio sistema
      2) le forze anti-sistema vincono, eliminano il sistema che hanno combattuto e impongono con al forza ai singoli il nuovo sistema (vedasi esempio degli allevatori di Visoni)

      Come potrai ben comprendere il centro del discorso potrebbe anche non essere la violenza in quanto tale, ma è il dominio e la volontà di dominio che la genera.

      Passiamo ora a rispondere ai tuoi punti:

      1) Il sistema non ce lo siamo scelti noi. Vero. Non ci siamo scelti nemmeno i nostri genitori, possiamo però costruirci una esistenza alternativa a quella che loro ci impongono sin da piccoli, quindi questa nostra situazione non deve divenire una sorta di “peccato originale” che ci preclude altre soluzioni, che non siano sempre e solo le solite già note.

      2) La questione di Anders è già stata affrontata: c’è ancora da rispondere al problema che lui stesso ha evidenziato.

      3) Sicuramente molte delle azioni violente (non solo quelle di stampo anarchico) contro il sistema mirano a eliminare il dominio, sicuramente la violenza istituzionale mira al mantenimento del potere e quindi del dominio. Ma se è vero che la violenza è un atto di dominio (per esempio: si picchia qualcuno per piegarlo alle nostre volontà), allora si fa lo stesso gioco del potere: si accetta di giocare alle sue regole, questo non è possibile se davvero vogliamo eliminare il concetto di dominio dalla società umana.

      Rimane in piedi al questione della violenza per autodifesa che però ricade nella situazione già esposta in precedenza di eliminazione di un problema contingente, eccezionale, di difesa da un danno o di riparazione a un danno riguardanti l’immediato. Sicuramente è una pratica comprensibile da considerare, ma è priva di un aspetto programmatico. Insomma è un a reazione.

      Grazie per aver citato la cassetta degli attrezzi che tu definisci “famosa”, ma che se lo fosse sarebbe stata molto più dibattuta e utilizzata. Sicuramente la questione della violenza dovrà essere affrontata anche in quella sede, ma hai già ampiamente compreso quale sia la posizione. IL tuo suggerimento, però, è importante.

      Il punto 4 chiarisce la sostanziale differenza che intercorre tra i nostri punti di vista: a me non interessa l’opinione pubblica, coacervo di indifferenza e noia, attrazione per ignavi. Sono maggiormente incline all’interesse per gli individui.

      In effetti questa è la differenza sostanziale che sussiste se vogliamo considerare solo l’aspetto politico e strategico. Non si dovrebbe parlare però di opinione pubblica (connotata da becero qualunquismo, perbenismo, facilmente manovrabile e influenzabile dai media), ma di collettività. Un cambiamento sociale duraturo e maturo deve nascere dall’individuo e dalla pratica individuale coerente, ma noi non siamo singoli asteroidi che vivono di vita propria, ma Animali sociali che intessono reti, collegamenti, relazioni con i propri simili e con gli altri viventi, di questo abbiamo il dovere di tenere conto: anche le visioni individualiste devono fare i conti con il fatto che esiste un tessuto sociale che in definitiva è quello che deve cambiare per formare una società diversa. Per tale motivo non si possono ignorare gli altri e agire come se fossimo da soli, ciò non significa essere condiscendenti con l’opinione pubblica, ma solo fornire soluzioni radicali e rivoluzionarie.

      La questione del primitivismo è interessante e andrebbe approfondita in altra sede. Di sicuro le società umane pre-civilizzazione erano molto meno speciste di noi, rimane da farsi però una domanda: se loro sono i nostri progenitori o antenati e noi siamo ciò che siamo, non è plausibile pensare che in “semi” di questo macello quotidiano fossero già dentro di loro?

      La soluzione a tutte queste domande e problematiche personalmente non la possiedo. Ritengo però onesto e importante evidenziare le criticità dell’approccio violento e far capire che non si tratta di condannare una vetrina rotta o un cassonetto ribaltato, ma di comprendere che abbiamo bisogno di altre soluzioni inedite davvero alternative al sistema e alla visione che esso ci ha inculcati per cambiare le cose.

      6 Maggio, 2015
      Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Grazie per il link ma in questa sede non ci si occupa delle buffonate scritte da federfauna.

      7 Maggio, 2015
      Rispondi

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