Panino al salame cerca panino vegan per convivenza serena


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Riflessioni vegan-militanti del primo dell’anno a cura di Troglodita Tribe. Buona lettura.


I vegan aumentano, si sa, e con loro, ovviamente, aumentano anche i prodotti vegan. Li trovi sempre più facilmente, soprattutto nei supermercati. E questo fatto genera una strana effervescenza, un’assurda soddisfazione da stadio che incontri postata ininterrottamente nei social network. Ci si passa parola pubblicizzando il tal supermercato che, finalmente, vende la maionese o la cotoletta vegana. Il tutto corredato da foto del prodotto con tanto di consiglio per l’acquisto… Da leccarsi i baffi! Una mega-vegan agenzia pubblicitaria!

Il prodotto vegano, per molti, è diventato l’obbiettivo centrale, il fine ultimo.
Dalla lotta per la Liberazione Animale, che era lo scopo del veganismo, si è passati alla riduzione a dieta alimentare consumista di questa magnifica opportunità di cambiamento.
L’operazione è semplice quanto il ragionamento che la sostiene. Nulla deve essere cambiato, tutto può rimanere esattamente al suo posto, basta che venga veganizzato. Salsicce, bistecche, polpette… Tutto può diventare vegan. Basta sostituire qualche ingrediente e il gioco è fatto: abbiamo vinto!

Si tratta, appunto, di una visione superficiale che rinuncia in partenza a comprendere le motivazioni dell’oppressione animale, le motivazioni che spingono sette miliardi di Umani ad accettare come normale amministrazione settanta miliardi di Animali massacrati all’anno.
Una visione superficiale che si limita a immaginare che, in fondo, basta cambiare qualche ingrediente, basta effettuare qualche piccola sostituzione per risolvere un problema millenario, per cambiare una società che si fonda sul dominio del vivente da migliaia di anni.
Una visione superficiale che porta ad auto convincersi di quanto siano tutti così stupidi e cattivi perché, in fondo, basterebbe diventare vegan per avere un pianeta pulito e per essere tutti in salute. Possibile che nessuno ci abbia pensato prima? Possibile che la gente sia così stupida da non cambiare questi benedetti ingredienti, e subito?

Mantenere una visione superficiale di ciò che ci accade intorno è funzionale ed essenziale per il mantenimento dello status quo. Ma non è solo questo il punto, perché qualunque forma di ribellione, qualunque pratica che tenda al cambiamento, quando comincia a diffondersi e ad essere seguita e considerata, viene irrimediabilmente ribaltata, normalizzata, ricondotta sulla retta via dello spettacolo consumista che la nostra civiltà fondata sul dominio trasmette ininterrottamente in mondovisione. E’ una dinamica nota (ce ne fornisce un esempio la chiesa che, invece di cancellare i templi pagani, li trasformò in abbazie e cattedrali, invece di abolirne le feste se ne appropriò ribaltandone il significato e usandole in relazione alle sue esigenze), una trappola conosciuta, ma nonostante questo, il “popolo vegano” ci è caduto inesorabilmente dentro.

L’aumento dei prodotti, dei ristoranti, degli aperitivi vegani… coincide inesorabilmente con il riconoscimento da parte del mercato di una nuova richiesta da far fruttare. Molti vegani, dal canto loro, vedono in questo riconoscimento un traguardo. Finalmente ci considerano, finalmente contiamo qualcosa, finalmente abbiamo un’identità, finalmente qualcosa sta cambiando.
In una società fondata sull’acquisto, invece, tutto questo è normale.
Una società fondata sull’acquisto si basa proprio sul riconoscimento di tutti i bisogni, i prodotti, le idee e i pensieri disponibili che devono essere resi merce, che devono essere venduti.
La filosofia della società-supermercato si fonda sulla concorrenza (sempre più monopolio di pochi giganti) di tutte queste merci che la ingrassano nella famosa e pluricitata crescita infinita. La filosofia della società-supermercato non ha paura di niente, nulla può intaccarla perché è in grado di trasformare tutto triturandolo a suo uso e consumo.

L’idea di veganizzare l’intera società-supermercato immettendo prodotti vegan è talmente ridicola che non andrebbe neppure presa in considerazione, ma siccome è proprio questa l’illusione su cui si fonda l’entusiasmo e la superficialità del nuovo vegan-consumista, cercheremo di farlo ugualmente.

L’idea è più o meno questa: sono contento che il fast-food offra anche un panino vegan perché lo vedo come un primo passo verso un mondo con fast-food completamente vegani. E non solo fast-food, ma anche supermercati completamente vegani e anche ristoranti, alberghi, etc.

L’errore di fondo rispetto a questo ragionamento è semplice: noi possiamo avere i fast-food, possiamo avere i supermercati che offrono milioni di diversi prodotti confezionati che vengono da ogni parte del mondo, noi possiamo avere tutta questa finta ricchezza, questo finto benessere, possiamo avere di tutto e di più perché siamo direttamente coinvolti in un modello di produzione antropocentrico fondato sul dominio e sulla distruzione globale. Un modello che si basa sulla crescita infinita. Per crescere all’infinito bisogna impossessarsi di tutto il territorio, di tutte le risorse, occorre dominare, addomesticare, mercificare, piegare e trasformare tutto in relazione alle nostre esigenze.

Il fatto che più o meno da ventimila anni (alcuni sostengono con il passaggio dal nomadismo alla stanzialità) noi Umani diamo per scontato che questo pianeta è solo un contenitore da depredare, il fatto che consideriamo tutti gli altri suoi abitanti come degli schiavi o dei prodotti da smembrare e incellophanare, non è dovuto a ignoranza o a mancanza di informazione. E non è neppure dovuto a una cattiveria intrinseca che ci segna irrimediabilmente sin dall’alba dei tempi. Più verosimilmente, facciamo questo, perché solo così possiamo tenere in piedi questo modello di produzione, questo sistema di sviluppo.
E si tratta di un modello di produzione che è andato affinandosi e perfezionandosi per secoli. Si tratta di una macchina che funziona triturando e ribaltando e mercificando ogni pulsione, ogni tentativo di cambiamento. Una macchina che continuerà a funzionare anche dopo la nostra morte. Una macchina che si muove anche attraverso i miti, i riti, i simboli. Una macchina che viene alimentata anche attraverso il nostro modo di lavorare, di parlare, di discriminare, di considerare il diverso e l’altro da sé. Una macchina globalmente interconnessa dove il lavoro di chi coltiva patate è finanziato e controllato da chi sfrutta Animali, da chi avvelena e depreda.

Risulterà evidente anche al più consumista dei vegani che l’unica concreta speranza di “liberare tutti gli Animali”, di “veganizzare il mondo” risiede inevitabilmente nell’abbandono di questo modello di sviluppo. Perché è proprio questo modello di sviluppo che crea l’indispensabile necessità dell’oppressione animale, che ha creato e continua a rafforzare la mentalità specista e antropocentrica che consente di accettarla e di giustificarla, di considerarla normale routine quotidiana.
Questo modello di sviluppo nutre inevitabilmente le nostre fantasie e i nostri immaginari, muove e condiziona altrettanto inevitabilmente il nostro modo di rapportarci con il mondo, i nostri tentativi di mutare i nefasti sviluppi che lo contraddistinguono sempre di più.

Anche nell’ipotetico e decisamente improbabile caso in cui la gran maggioranza di noi Umani scegliesse l’alimentazione vegan (con conseguenti supermercati vegan, fast-food vegan etc.) l’oppressione animale resterebbe più o meno inalterata. Il territorio e le risorse dovrebbero restare comunque nelle nostre mani, sotto quel rigido controllo che si chiama potere, manipolazione, addomesticamento.
Nessuno può veramente immaginare un mondo in cui il concetto di Liberazione Animale trovi una sua completa realizzazione. Ma una cosa è certa: anche un suo timido abbozzo può solo coincidere con un considerevole arretramento del nostro modello di sviluppo, dei nostri consumi, della nostra folle espansione e del dittatoriale controllo che esercitiamo sugli individui e su ogni singolo ettaro di cui è composto questo meraviglioso pianeta.

Tutto ciò che questo modello di sviluppo (basato sul pensiero unico della produzione, sulla religione del lavoro) può offrirci, è di farne allegramente parte. Da questo modello di sviluppo è naturalmente escluso il concetto di lotta contro un’ingiustizia, il concetto di attivismo per un cambiamento sociale, il concetto di impegno politico nel senso di impegno collettivo per il bene comune. I prodotti vegani, al massimo, potranno convivere con tutti gli altri prodotti animali. Ed è proprio qui che si nota il forte arretramento che il consumismo vegan sta determinando.
In altre parole sta passando il concetto di un veganismo come stile di vita che può tranquillamente convivere con tutti gli altri, proprio come un panino al salame può tranquillamente convivere nella stessa vetrina con un panino al tofu e insalata.

Ma il consumismo vegan, comunque, non è una malattia incurabile e chi ne è affetto non può neanche diventare il nuovo bersaglio contro cui scagliarsi, a cui scaricare le responsabilità maggiori per i problemi di un movimento che tenta di muoversi verso la Liberazione Animale.
Occorre, infatti, considerare che tutti e tutte siamo coinvolti (in misura certamente differente) in questo modello di sviluppo e che, tutti e tutte, ne siamo fortemente condizionati.
In un mondo fondato sul consumismo è drammaticamente facile e immediato, quasi inevitabile e spontaneo, dare una risposta consumista, pensando pure di ribellarsi, credendo pure di aver intrapreso la giusta via verso la liberazione, abbandonandosi pure ad un vuoto ottimismo addomesticato da spot pubblicitario. Molto più difficile, invece, ammettere di essere parte integrante dello sfruttamento e dell’oppressione, pur diventando vegan.
L’antidoto è certamente quello dell’approfondimento, dell’autoproduzione, della vegan-decrescita, dello sguardo critico, del continuo confronto, dell’ampliamento degli orizzonti che non possono più limitarsi ad una dieta alimentare, ad uno scambio di ricette, ad un attivismo fondato sulla nocività dei prodotti animali. Vegan è certamente un passo indispensabile, ma forse possiamo farlo e diffonderlo smettendo di essere una vegan-agenzia pubblicitaria che lavora per questo modello di sviluppo, forse possiamo davvero costruire dal basso nuove dinamiche che ci consentano di cambiare un intero immaginario, che ci consentano di visualizzare un altro modo di considerarci e definirci Umani, e quindi Animali.

12 Commenti
  1. Roberto Contestabile ha scritto:

    Una mia amica di blog ha detto: “Perchè essere vegan non è una moda, ma una forte presa di coscienza che è diventata un modo di essere (quindi di vivere)”…
    Purtroppo chi vorrebbe approfittare della scelta vegan (oggi sempre più di moda) sta già cavalcando l’onda! Basta entrare in un qualsiasi supermercato o negozio bio presunto tale per rendersi conto della situazione attuale alquanto critica e dubbiosa. Il rischio, molto forte e presente, è che si confonda l’etica del messaggio che vuole essere assolutamente antispecista e non salutista. L’essere salutista senza etica contribuisce ad accentuare l’impronta antropocentrica umana, e cioè l’essere al di sopra di tutto!
    Essere in parte a favore del filone commerciale veganista, non significa accettare il concetto speculativo del marketing che lo pubblicizza. Urge pertanto una doverosa presa di posizione da attuare con fermezza e determinazione: il veganismo corporativo è diverso da quello antispecista. Aprire ristoranti a marchio “Veg” o vendere t-shirt con la “V” slanciata…è nettamente diverso rispetto ad una cultura pacifista e rispettosa. L’etica del messaggio è simile ma non identico.
    In misura inferiore, ma molto più grave da condannare, è il comportamento di alcuni che cercano di mistificare la coscienza antispecista attuale con messaggi falsi ed ipocriti in merito a produzioni “etiche” che salvaguardano il “benessere” degli Animali. Finchè esisterà morte da sfruttamento non esisterà benessere animale.
    Il filo sottile che separa la condivisione è molto delicato da capire ed affrontare quotidianamente. Nessuno sa se in futuro le due correnti qui in discussione prenderanno direzioni opposte o parallele. Certamente sono due modi di affrontare la presa di coscienza, due differenti mezzi o sistemi che possono aiutare le persone più sensibili (e non) a modificare le loro abitudini quotidiane, ma specialmente il loro modo di pensare e quindi di vivere, cioè rapportarsi agli altri e al resto del mondo. Ma il concetto di base è molto differente.
    Molti affermano erroneamente che il consumo di carne e derivati negli ultimi anni è in discesa. Il consumo di carne rispetto al totale dell’assortimento referenziato food commerciale gdo (distribuzione organizzata) non è affatto diminuito, neppure lo è tutto il resto dei derivati animali. E’ in forte calo la spesa media dei consumatori. Cosa significa: il potere d’acquisto è sceso causa fattori ben noti a tutti, ma le persone soprattutto carniste non hanno smesso di fare acquisti alimentari, nè tanto meno hanno smesso di acquistare tutto ciò che ne deriva dallo sfruttamento animale. I prezzi al dettaglio non sono diminuiti ma neanche aumentati, diciamo che il costo del denaro è rimasto stabile (come evidenzia anche la Bce), ma questo non significa nulla in termini antispecisti. L’informazione che è stata diffusa in questi anni non ha creato una cultura di massa verso un consumo più sostenibile ed etico che potesse creare un benessere più giusto e raggiungibile da tutti. Tutto l’opposto! Si è diffuso un consumismo spietato e dannoso per tutti. Un benessere psicotico ed illusorio fatto di carnismo, abbigliamento lussuoso piumato e peggio non si può, vivesezione spietata e conseguente farmacologia lobbista…cioè tutta un esagerazione portata all’eccesso senza nessun tipo di controllo ed etica. Certo abbiamo avuto anche gli smartphone e facebook…ma senza allevamenti intensivi e con uno sviluppo maggiore di energie alternative sarebbe stato meglio. Il petrolio e il capitalismo ci ha resi figli e schiavi di tutto questo e capirlo con coscienza e consapevolezza, anzichè essere complici silenziosi, forse ci rende più nobili e giusti nella causa animalista-terrestre. L’imput veganista, per quanto sia stato ingenuo e sincero, è recepito dall’industria corporativa, purtroppo e come sempre fino ad ora, in modo speculativo stravolgendo tutto quello che di buono e semplice si voleva creare: consumo etico. In realtà il brand vegan (o presunto tale) di sostenibile non ha proprio nulla. E l’ignoranza globale, frutto di un induzione passata marketizzata e ben radicata, trasforma un ideale pacifico di vita in un business senza confronti, tale e quale a tutto ciò che è il carnismo odierno. Finchè ci sarà un capitalismo spietato senza controllo, avere sullo scaffale una bevanda vegetale a base di soia bevuta dagli intolleranti al lattosio…non sarà mai una vittoria, nè potrà mai esserlo. Stessa cosa dicasi per il tofu che viene usato in ambito dieta povera di grassi o peggio altre alternative brandizzate come le polpette vegetariane o il veggieburger. La vera vittoria in senso antispecista sarebbe non avere proprio i supermercati e tutto quello che gira intorno ad essi. Non tutti sanno che la grande distribuzione organizzata, nata in America (ahinoi) negli anni ’60 ed importata come tanti altri malanni in Europa, crea ogni giorno una miriade di overstock di cibo non riutilizzabile con metodi accettabili. Le collette e i banchi alimentari non sono sufficienti. Tutta la produzione food industriale mondiale (l’Italia è ai primi posti con i dop, doc, igp ecc.ecc.) crea solo devastazione ambientale, sfruttamento animale, diminuzione di risorse naturali come acqua e materie prime, e soprattutto speculazione economica. Pochi gruppi di persone manageriali incassano cifre ultra-miliardarie e molti sopravvivono o peggio fanno la fame vivendo in povertà. La nostra borghesia moderna è solo un illusione preventiva costruita da chi vuole una globalizzazione forzata e controllata. Il mercato globale uccide quello locale, distrugge l’artigianato e il piccolo produttore…quello che invece avremmo bisogno per far rinascere le economie locali e un consumo più sostenibile. Si veda le produzioni di olio di palma, o ogni prodotto simbolo del consumo globale come il caffè, banane, ananas, grano, zucchero ecc. ecc. e soprattutto carne e derivati. Quello che rimane alle popolazioni locali sono piccoli spiccioli vergognosi rispetto alla moltitudine di fatturati che le grandi corporations del food investono sui mercati internazionali. Sradicare questo sistema non è affatto semplice, anzi pare un utopia. E lo sbocco vegan può essere solo un alternativa parallela verso nuovi fronti consumisti-speculativi, ma non la soluzione! Le big del cibo lo sanno bene e stanno già “tastando” il terreno.
    Le persone carniste (e non) devono capire che l’intento giusto è un altro…molto più importante e radicale: si chiama antispecismo.
    “Seminare” nelle menti assopite è utile ed importante. La mente umana, anche la più scettica, è facilmente condizionabile.

    1 Gennaio, 2015
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  2. antonio colelli ha scritto:

    Facciamo un presidio davanti a tutti i supermercati che vendono prodotti vegan per farli smettere e fargli capire che non possono permettersi di appropriarsi di una “vitale” idea degli antispecisti (?) A quei maleducati ed approfittatori dei capitalisti facciamoli capire che non possono sfruttare a loro vantaggio le idee altrui e quindi che continuino pure a produrre salami, salsicce e prelibatezze varie ma non si permettano di produrre seitan o soia a quello ci pensiamo noi con l’autoproduzione e non si permettano nemmeno di commercializzarli, ci pensiamo noi nei mercatini rionali. Non possono inquinare (sono maestri in questo, ma in questo caso non glielo permettiamo) la purezza della nostra ideologia perché noi siamo duri e puri anche a costo della vita (tanto mica è la nostra).

    1 Gennaio, 2015
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    • Veganzetta ha scritto:

      Antonio Colelli si sta parlando delle vite degli altri in questa sede, a cosa servono il sarcasmo e i commenti inutili?

      E’ così difficile capire che le ragioni che spingono un’azienda a produrre e commercializzare un prodotto immettendolo in un mercato capitalista per i consumatori esulano ragioni etiche e di rispetto altrui, ma si concentrano esclusivamente sul guadagno?
      Credi per caso che le aziende che ora producono salami e mortadella, mettendosi a produrre tofu e seitan smetteranno di sfruttare e uccidere gli Animali? Aumenteranno la produzione e accontenteranno sia il mercato carnivoro, sia quello nuovo vegano.
      Si sta parlando di profitto e di rispetto degli esseri senzienti: sono due argomenti antitetici.
      Il mercato si è accorto dei consumatori vegan, gradualmente li standardizzerà e ingloberà nel sistema fornendo loro tutti i prodotti che desiderano, questo farà delle aziende produttrici delle realtà vegane? Assolutamente no, se domani spuntassero nuovi consumatori interessati solo alla carne di Struzzo e capaci di spendere quantitativi ingenti di denaro sarebbero accontentati in un batter d’occhio.
      Gioire per gli effetti temporanei e immediati di un’apertura del mercato alle istanze consumistiche vegane è stupido, perché produrrà solo consumatori e consumatrici vegan e non persone capaci di una vera critica a un modello che schiavizza, distrugge, tortura e uccide in mille modi e forme diverse. Essere vegan significa dissentire, protestare, proporre alternative e spingere a un cambiamento, ma quale cambiamento potrà mai esserci se si diviene solo una delle mille categorie di consumatori presenti sulla piazza?
      Mangiare una cotoletta di soia non è una rivoluzione, ma solo un tentativo di riparare ai danni allucinanti che la nostra società fa agli altri mediante le sue stesse logiche: potremmo passare la vita a comprare al mercato Animali in gabbia per poi liberarli, salveremmo quell’Animale rinchiuso – e per lui sarebbe una questione di vita o di morte – ma alimenteremmo direttamente i suoi aguzzini permettendogli di continuare nelle loro torture anche grazie al nostro denaro. Salvando quell’Animali se ne condannerebbero altri perché la catena dello sfruttamento non si interrompe oliandola.

      1 Gennaio, 2015
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      • antonio colelli ha scritto:

        Nessun commento è inutile se si riesce a cogliere l’essenza.
        Quello che sembra sia difficile comprendere è che la produzione e quindi il consumo della cotoletta di soia non si somma al consumo della cotoletta di maiale, bensì si sottrae. Non è filosofia, è semplice aritmetica. Nessuno gioisce “per gli effetti temporanei e immediati di un’apertura del mercato alle istanze consumistiche vegane” così come nessuno dovrebbe criticarli perché quegli effetti potrebbero diventare duraturi e perpetui. Addirittura si potrebbe pensare ad un mondo vegano.E se questo avvenisse, sarebbe un passo indietro? Forse sì, dal punto di vista della Liberazione. Gli animali non sarebbero più mangiati, ma non sarebbero ugualmente liberi. Ma credi, sinceramente, che non sarebbe più facile parlare di etica in una società siffatta, in una società che non vede più il carnismo come essenziale e necessario, anziché nella società attuale? Credi, veramente, che portare sul lastrico aziende che producono solo tofu e seitan possa servire alla liberazione animale? Servirà solo alle istanze, sacrosante, anticapitaliste. La liberazione animale, credo, non avverrà mai con i prodotti vegan così come non avverrà mai con l’autoproduzione, l’anticonsumismo, l’anticapitalismo, ma avverrà solo, sembra una banalità, quando riusciremo a far capire che stiamo parlando di soggetti e non oggetti vale a dire, quando si riuscirà a sradicare l’antropocentrismo e ti posso assicurare che antropocentrismo non significa anticapitalismo (il capitalismo, non ho bisogno di ricordartelo, sfrutta anche l’uomo). Una società anticapitalista, anticonsumista, che si dedica all’autoconsumo non è detto che sia una società antiantropocentrica così come una società vegana; solo che in quest’ ultimo caso forse e dico forse si può cogliere più facilmente l’essenza delle nostre istanze che ti ricordo essere quelle della liberazione animale, tutte le altre sono solo da corollario e forse conseguenze. Ma, oggi, sembra siano principali.
        L’ essere umano è un animale adattabile, con lentezza ma adattabile. Ora, grazie al capitalismo, checché ne possiamo pensare la “massa” è riuscita a comprendere il significato originario di vegan, non è l’abitante del pianeta Vega, ma un individuo che non si nutre di animali e derivati, diamogli la possibilità di venire a sapere che non ci nutriamo solo di insalata che poi l’insalata per essere etica, secondo alcuni, debba avere caratteristiche anticapitaliste, debba essere autoprodotta da soggetti che si vogliono autoemarginare dalla società ( è bene capire che stiamo parlando a soggetti che conoscono solo questo tipo di società e lo considerano ottimale)glielo faremo sapere successivamente. Un passo alla volta. Non si può insegnare ad un bambino a correre se prima non gli si insegna a camminare.. Il commento era finalizzato solo alla riflessione che forse a volte un pò di sano pragmatismo non guasta così come non guasterebbe , credo, riuscire a parlare in termini per tutti (mi riferisco agli individui di questa società) comprensibili. Non sono entrato nel discorso etico. Per quanto non traspaia da quello che ho scritto io sono (per quello che può servire), in ogni modo, per una società anomica.

        2 Gennaio, 2015
        Rispondi
        • antonio colelli ha scritto:

          Nella parte “posso assicurare che antropocentrismo non significa anticapitalismo” c’è un refuso. Anzichè anticapitalismo bisogna leggere correttamente capitalismo. Grazie

          3 Gennaio, 2015
          Rispondi
  3. Un augurio Vegano Antispecista di un 2015 che veda un inizio di affrancamento dal consumismo al quale siamo assoggettati; che veda finalmente il declino, o almeno l’inizio del declino, di tutta la grande distribuzione, verso l’abisso che merita per il tremendo impatto che esercita sulla Vita dell’intero Pianeta Terra!!!

    2 Gennaio, 2015
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Caro Roberto,

      Grazie di cuore per l’augurio che Veganzetta ricambia ed estenda a tutte le lettrici e i lettori.

      2 Gennaio, 2015
      Rispondi
  4. diana ha scritto:

    Molto d’accordo, soprattutto sui suggerimenti finali, come antidoto alla trappola del consumismo.
    Da quando ho fatto questa scelta, ho capito che “vegan” è un modo di vivere, non solo di mangiare. Poi ciascuno ci mette del suo, ci sono le persone più militanti e quelle che puntano al dialogo: io personalmente non considero molto efficaci le immagini shock, che spesso sono così aggressive da generare una reazione di chiusura totale. Ma poi penso che la realtà è esattamente quella rappresentata e se non si “capisce con la pancia” il dolore altrui, difficilmente si potrà decidere di agire per eliminarlo o ridurlo. Non ho ancora risolto questo dilemma…
    In ogni caso, i ristoranti con il menù “veg” (o peggio i fast-food) oltre a rappresentare perfettamente la deriva etica e la perdita di buon senso di una società consumistica, sono una trappola per gonzi, e questa categoria (i gonzi) credo sia trasversale alla specie umana.
    Comunque, auguri a tutti nel continuo tentativo di informare, condividere, denunciare.

    3 Gennaio, 2015
    Rispondi
  5. Roberto Contestabile ha scritto:

    “…il consumo della cotoletta di soia non si somma al consumo della cotoletta di maiale, bensì si sottrae. Non è filosofia, è semplice aritmetica.”

    Caro antonio colelli…mi dispiace contraddirti, ma non è così! E credimi qui non stiamo parlando di cifre, altrimenti dovremmo elencare un infinita lista di vittime Animali che ogni anno aumentano sempre più causa consumismo esasperato dovuto ad una cattiva informazione indotta, fidelizzata e consumata.
    Il vero unico responsabile di tutto ciò è il capitalismo moderno e le decine e decine di miliardi di povere creature morte perchè gli esseri umani carnisti possano gustare la fetta di prosciutto crudo come antipasto, il panino con il salame, la fiorentina alla brace, l’arrosto della cara mamma premurosa, la ricorrenza natalizia corredata di un unico grande menù talmente colmo di pesantezza e depressione da essere sufficiente a sfamare milioni di persone nel terzo mondo. La nostra epoca consumista ha bisogno di eccessi, e quindi per camminare in città con 20 gradi si usa il cappotto piumato da 500 euro con cappuccio orlato di volpe o peggio di cane, la signora borghese ha bisogno (se non fa troppo scandalo) della pelliccia in visone con la borsa di pelle derivata da chissà quale povera creatura sventurata. E tutto questo è status cittadino, moda, tendenza…tutto per un lusso esasperato ed inutile, tutto a danno come sempre dei più deboli…gli Animali in questo caso…tralasciando per una volta, considerato che qui si parla di vero antispecimo, delle migliaia di operai ed operaie che faticano miseramente a sopravvivere in questi contesti lavorativi, peggio se in zone altamente depresse e sofferenti, proprio lì dove avvengono le produzioni più d’elìte dell’alta moda carnista. Questo per dire che non è la cotoletta di soia il vero problema da affrontare nè lo è il suo consumo più o meno vantaggioso, se pur veramente esista. Il vero problema è educare le persone a non scendere a patti con una speculazione capitalista che ingoia tutta l’etica della vita umana terrestre…sì, perchè l’unica cosa che questa società moderna ci ha donato è un genocidio mascherato da una pura, macabra e terribile illusione benestante.

    3 Gennaio, 2015
    Rispondi
  6. Roberto Contestabile ha scritto:

    Ripetere concetti basilari alquanto semplici da intuire può essere noioso per chi ha capito il difetto di questo consumismo esasperato, ma chiarire alcuni concetti è altrettanto importante. Caro antonio colelli affermare con convinzione ripetuta che il capitalismo moderno NON sia antropocentrico è una menzogna bella e buona. Farne parte non significa non criticarlo e non condannarlo. Conosco le mie origini, ma ho diritto ad una scelta non costretta. E’ molto deprimente e triste divulgare una tale falsa notizia da chi si sente parte in causa di un movimento rivoluzionario attuale: antonio colelli, sei tu che su facebook condividi con il nome di Radiovoice Antispecista? Ti prego rispondimi, perchè io credo di sì. Allora se così fosse gentilmente ti invito ad una maggiore riflessione sulla tua presa di coscienza, ma soprattutto ad una maggiore informazione in merito al sistema economico globale di cui noi tutti (carnisti e vegan) ne facciamo parte più o meno in maniera consapevole. Opporsi ad un sfruttamento di risorse naturali ed esseri viventi, in primis Animali, non significa essere anticapitalista, significa essere consapevoli che esiste un problema serio, profondamente attuale da affrontare e riflettere. Il capitalismo moderno è nato in America più di un secolo addietro grazie a persone desiderose di unirsi in gruppi societari per ottenere eslusivamente profitto. Tale erano e sono oggi le corporazioni. Definizione: “Una corporazione, in senso proprio, è un tipo di persona giuridica che ha quale elemento costitutivo un insieme di persone fisiche o giuridiche (gli associati) legate dal perseguimento di uno scopo comune.” Le corporazioni del food sono responsabili, da decenni senza sosta, di una speculazione mondiale devastante, oltre che di un genocidio animale senza precedenti nella storia umana, per non parlare della creazione di una catena di montaggio umana che regredisce l’uomo e la donna a semplici esecutori legali di un uccisione. Per quale assurdo motivo NON dovremmo opporci a tutto questo? Il veganismo etico è o non è un movimento rivoluzionario che si oppone alla repressione della vita animale e di tutto l’ecosistema terrestre? Alimentando un consumo industriale vegetale che positività etica potremmo mai apportare verso una maggiore presa di coscienza umana?
    Noi tutti uomini e donne borghesi siamo figli del capitalismo occidentale, ma lo stesso NON si può dire purtroppo di tante altre popolazioni appartenenti ad altri ceti sociali, nazionalità o religione cui il capitalismo stesso ha reso vittime e schiavi…Animali non esclusi. E mi riferisco a paesi come l’Africa, l’America Latina, il Medio Oriente, il Sud Est Asiatico…e nessuno dica che l’Italia è in recessione! Il 5/10/% di decrescita in consumi medi alimentari non è povertà popolare (è un indice molto importante a livello statistico, in quanto il cibo in una società capitalista è sinonimo di benessere)…è diminuzione di potere d’acquisto, è un altra cosa, un altro problema.
    Quindi di cosa stiamo parlando? I prodotti veganizzati figli di questo sistema come mai potranno aiutare le persone a svegliarsi dal loro torpore carnista mistificato ed indotto? Semplice: non lo faranno mai! Per un motivo molto elementare: questi prodotti non sono indirizzati a chi si nutre di proteine animali, assolutamente no. Questi brand, presto sempre più presenti sugli scaffali, sono mirati ad acquisire gruppi di consumatori che si sono allontanati dal consumismo corporativo…tali sono i vegani. Al carnista che a natale festeggia con lo zampone e l’agnello, quando mai scenderà di casa per andare ad acquistare una polpetta veg? Il vegano che si sente parte di uno status e quindi non vuole sentirsi escluso come consumatore, cosa compie acquistando un tofu? Una scelta costretta. Io non deve sentirmi obbligato ed invogliato nell’effettuare i miei acquisti e soprattutto non voglio assolutamente contribuire con il mio denaro ad un finanziamento occulto di cui non so neanche cosa rappresenta eticamente la sua produzione, nè tantomeno le origini stesse del prodotto in sè. Perchè devo imitare un carnista che mangia hamburger inserendo un seitan nel mio panino? Che senso etico ha? Nessuno! E poi se veramente volessi dare libero sfogo alla mia fantasia culinaria creando io stesso delle polpette di verdure…perchè mai dovrei velocizzare il tutto spendendo ben 4 euro per una porzione già pronta? Eticamente qual’è il senso di “liberazione animale”? Non ho festeggiato con la morte nel piatto? Benissimo, ma in quanto vegano non lo avrei fatto comunque, anche senza seitan. Perchè mai un estimatore di mortadella, o mozzarella, o parmigiano debba sentirsi invogliato nell’acquistare un tofu?
    Senza la diminuzione della produzione intensiva di cibo animale non ci sarà un solo surrogato vegetale che potrà mai sconfiggere la mentalità carnista. E di certo la cotoletta vegetale NON diminuisce la produzione di braciole di suino, no! Piuttosto l’affianca senza tra l’altro mai raggiungerla, causa assenza reale di presa di coscienza.
    Chi desidera pubblicizzare questi alimenti che lo faccia pure, nessuno sta ostacolando nessuno, nè c’è bisogno di un picchetto di protesta davanti ai supermercati. Tali individui però non si facciano promotori di una lotta antispecista a favore dei diritti Animali.
    L’unica vera e reale possibilità è la presa di coscienza personale tramite informazione, condivisione ma soprattutto educazione infantile. L’aspetto salutista è un altra cosa, il gusto del cibo è un altra cosa, de-radicalizzare le famiglie dai pranzi ricorrenti non lo si compie imponendogli un alternativa al polpettone farcito…lo si fa con lungo e tedioso ragionamento antispecista, rompendo gli schemi indotti da una società antropocentrica radicata in tradizioni carniste, si accentua un rispetto assoluto sull’essere vivente partendo sempre dai più deboli: gli Animali, i bambini, gli anziani, i malati, gli extracomunitari e tutto ciò che è diversamente terrestre…senza scendere in discussioni banaliste qualunquiste paragonando, in termini di sofferenza fisica, un peperone ad un maialino.
    Queste sono tutte argomentazioni molto semplici che posso far capire in maniera altrettanto chiara come ragiona la mente umana.
    Qui è necessaria una maggiore condivisione di imput utili alla presa di coscienza. Dobbiamo parlare di più dei veri protagonisti sofferenti di questa epoca, Dobbiamo analizzare maggiormente i nostri comportamenti quotidiani, anche i più semplici. Non dobbiamo stupidamente creare un conflitto tra onnivori e vegani (cit.”diamogli la possibilità di venire a sapere che non ci nutriamo solo di insalata”). Qui nessuno sta dicendo che dobbiamo autoprodurci il cibo. Qui nessuno sta dicendo che il futuro debba essere anticapitalista. Qui nessuno sta dicendo di non comprare i surrogati di soia. Qui si sta prendendo una posizione.
    Il capitalismo esasperato moderno è antropocentrico per definizione perchè sfrutta gli Animali, le risorse naturali e di conseguenza in maniera totalmente pcicotica l’essere umano stesso. Anche acquistare una mela è commercio capitalista, ma se essa è biologica tanto meglio, se è locale ancora di più, se è coltivata raccolta e venduta da una cooperativa agricola regionale o almeno nazionale meglio ancora. Non tutto il cibo può essere autoprodotto, nè tanto meno alcune varietà di frutta e verdura causa diversa stagionalità e clima…ma nessuno ci obbliga a mangiare le fragole a gennaio…ci sono le arance della Sicilia che sono più buone di quelle spagnole. Questo è libero mercato locale non corporativo: il piccolo imprenditore che alimenta un piccola economia fatta di persone oneste.

    4 Gennaio, 2015
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    • antonio colelli ha scritto:

      Quali sono i contenuti profondi legati al veganismo?
      L’articolo precedente, dal quale è scaturita la discussione e il presente articolo, ce li spiega:
      “le ragioni etiche di una posizione di rottura con l’attuale sistema capitalista che si manifesta anche con il nostro approccio verso i consumi e quindi si concretizza nel non consumo di prodotti derivati dalla sofferenza e dallo sfruttamento degli animali “
      (Puro criptospecismo, per la verità non tanto nascosto)
      Eventualmente, ce ne fosse bisogno, te li spiego meglio. Si afferma che il vegano etico sia chi non consuma prodotti derivati dalla sofferenza e dallo sfruttamento degli animali non in quanto riconosce l’animale come soggetto di vita, come individuo ma solo perché l’animale è un mezzo nelle mani del capitalista per produrre profitto.
      E, con queste premesse vorresti delle riflessioni serie da parte mia? Vorresti farmi credere che tu e gli altri parlate di Liberazione? Di liberazione dal capitalismo, forse, ma non di Liberazione Animale.
      Se, come credo, riconosci validi questi contenuti non abbiamo nulla su cui poterci confrontare in quanto , per parafrasare non ricordo più chi, io sono vegan solo ed esclusivamente per la salute della gallina, non per la mia salute, non per l’avversione al capitalismo, non per l’ambiente ecc.
      Lo potrò anche essere ma solo secondariamente non preminentemente.
      Nei miei commenti facevo, comunque, riferimento al vegan per moda perchè solo questi permette una diminuzione del consumo di prodotti animali

      4 Gennaio, 2015
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  7. Roberto Contestabile ha scritto:

    Cit. antonio colelli: “…io sono vegan…non per l’ambiente ecc.”

    Hai perfettamente creato un alibi al tuo antropocentrismo. Mi dispiace ma qui non c’è posto per una filosofia tra l’altro anche molto “spicciola” (cit.criptospecismo). Questo lasciamolo fare a chi ne è capace per origine e cultura. Qui si parla della sofferenza degli Animali e non delle nostre motivazioni personali a NON rifiutare un modello economico che a fatti concreti e reali non ha mai portato nullo di buono per l’ecosistema terrestre. Forse tu (e qui chiudo per non scendere miseramente in una polemica inutile) sei così integrato professionalmente e personalmente…che non riesci proprio a capirne il difetto. Cari saluti.

    5 Gennaio, 2015
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