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Sabato 28 febbraio si è tenuto a Roma il terzo presidio davanti al mattatoio di Viale Palmiro Togliatti.
Anche questa volta, come le precedenti, è stato molto partecipato: presenti più di cento persone, di tutte le età, compresa una bambina accompagnata dalla madre, orgogliosa di manifestare in difesa degli Animali; e anche questa volta l’esito è stato positivo: tanti i passanti che si sono fermati a leggere i cartelli, che hanno preso i volantini, che hanno annuito con gli occhi bassi in segno di approvazione della nostra protesta. La soddisfazione più grande è quando qualcuna/o che si trova a passare di lì per caso si ferma e decide di unirsi al presidio. È già successo e si spera che succederà ancora.
Quella che conduce al mattatoio è una via di scorrimento dove passano moltissime auto e anche mezzi pubblici, compresi i TIR che conducono gli Animali alla loro ultima destinazione e i furgoni, di ogni dimensione, che varcano vuoti i cancelli della struttura ed escono pieni dei loro corpi fatti a pezzi per poi scaricarli nelle tante macellerie al dettaglio e supermercati della città. Il luogo dove avviene tutto questo visto da fuori appare completamente anonimo: non un’insegna, non un qualche elemento che possa ricondurre alla terribile realtà di quel che avviene al suo interno.
Eppure lì, ogni giorno, centinaia d’individui senzienti vi entrano vivi e terrorizzati, perfettamente consapevoli di quello che li aspetta, ed escono a pezzi, trasformati nella “banale” fettina di carne che finisce sui piatti delle persone.
Lo scopo di queste proteste a cadenza mensile – che rientrano in una campagna che si è andata definendo e strutturando pian piano e che va sotto il nome di Nomattatoio – è infatti quello di svelare alla collettività cosa c’è dietro proprio quella fettina di carne che con gesti abitudinari e sostenuti dalla consuetudine viene messa nel carrello della spesa, ormai non più riconducibile all’Animale vivo che è stato.
Sembrerebbe un’ovvietà, questa di mettere in luce i processi che trasformano gli Animali in cibo, eppure le persone sono ben lontane dal riflettere sulla violenza e sofferenza che c’è dietro la produzione di carne. Rimozione e negazione sono difese psicologiche in parte individuali, in parte indotte dai meccanismi ben precisi che la società adopera per occultare le pratiche di dominio e violenza sugli Animali.
Si è pensato quindi di andare una volta al mese davanti al mattatoio – luogo simbolo e maggiormente rappresentativo dello sfruttamento animale per via del numero elevato di uccisioni che avviene al suo interno – per raccontare e ricordare ciò che viene rimosso o su cui – nati in una cultura specista e antropocentrica che considera lecito, normale e naturale sfruttare e uccidere Animali – non si ha ancora avuto modo di riflettere. Scalfire la patina della normalità per svelare l’orrore, l’abuso e il dominio, dismettere per un giorno le lenti della cultura carnista e assumere una prospettiva che ci faccia guardare agli altri Animali non più da una posizione di dominio e superiorità, ma di parità.
Dietro la campagna Nomattatoio non c’è nessuna associazione, nasce da un’idea di pochi attivisti e richiede la semplice partecipazione di persone interessate a combattere lo sfruttamento degli Animali per un senso di giustizia e rispetto nei loro confronti. Chi partecipa sa che quel giorno è lì in rappresentanza delle migliaia di Animali che vengono uccisi e che gli Animali devono restare i protagonisti assoluti. Per questo si chiede di non portare simboli o loghi riconducibili ad associazioni o movimenti, i quali, inevitabilmente, porrebbero l’accento su questi ultimi, anziché sugli Animali. E anche per un’altra ragione: quando avviene una strage di proporzioni gigantesche – quotidiana, incessante – bisogna prendere atto che tutte/i ne siamo in qualche modo responsabili.
Quindi farsi carico di questo sterminio è una questione che non può e non deve riguardare soltanto i cosiddetti “animalisti” o le varie “associazioni animaliste”, ma che dovrebbe coinvolgere l’intera collettività. Certo, non tutte/i hanno il tempo e l’energia per fare attivismo, ma almeno si dovrebbe finalmente riconoscere che la maniera in cui trattiamo gli Animali riguarda tutte/i noi in quanto corresponsabili del fatto che alcune persone sono costrette a eseguire un lavoro terribile e alienante per conto di altre: di altre che non vogliono sapere, né sentire, né vedere – e per cui si ritiene necessario nascondere la realtà – che continuano a considerare lecito consumare Animali e prodotti del loro sfruttamento. Questo avviene perché nascere in una cultura specista non rende possibile percepire il senso di questa ingiustizia, né di sentirla come un crimine.
Le modalità di svolgimento di questi appuntamenti sono pacifiche: il fine non è aggredire i singoli passanti che mangiano carne, né additare i macellai come assassini – per quanto siano esecutori materiali dell’uccisione di individui senzienti, lo sono pur sempre sostenuti da una corresponsabilità collettiva – bensì raccontare innanzitutto CHI sono gli Animali e poi informare su quanto avviene dentro i mattatoi. Il fine, in poche parole, è far percepire come ingiusto, sbagliato e criminale ciò che invece è considerato normale ed è istituzionalizzato. La parola chiave è responsabilizzare, rendere partecipi di queste pratiche di immane violenza che non sono, come a torto si crede, necessarie.
Ci si posiziona quindi sulla strada, rivolte/i ai passanti, con cartelli e striscioni raffiguranti sia Animali vivi e liberi nel loro habitat naturale – come dovrebbero stare – sia Animali fatti a pezzi o nell’attimo in cui stanno per essere uccisi. Si fanno letture tratte da investigazioni sotto copertura, si raccontano episodi particolari, s’invita a riflettere sul paradosso di considerare “normale” una pratica, che però ha bisogno di essere nascosta agli occhi della collettività per poter proseguire indisturbata e che necessita di una mistificazione continua volta a confermare il dominio della specie umana su tutte le altre.
Vogliamo vivere in una società che ci racconta menzogne? In una società che ci fa passare per “normale, naturale, necessario” ciò che non lo è? Vogliamo continuare a chiudere gli occhi di fronte a un’ingiustizia di proporzioni inenarrabili? Sono queste le domande che la campagna Nomattatoio intende porre alla collettività.
Ovviamente siamo consapevoli del fatto che per far acquisire conoscenza e consapevolezza ci vorrà ben più di un presidio al mese, ma da qualche parte si deve pur cominciare. Si spera poi di riuscire a far conoscere a sempre più persone quello che si sta facendo a Roma e che a loro volta queste si organizzino per protestare davanti ai mattatoi della loro città. Il fine ultimo è quello di coinvolgere parti sempre più ampie della collettività, anche attraverso l’interesse dei media, per dare avvio a un dibattito serio sulla liceità o meno del mangiare carne e dello sfruttamento degli Animali in generale. A questo proposito la campagna Nomattatoio ha da poco anche un suo sito web ufficiale, una pagina Facebook e un account Twitter. I social network, se usati bene, danno un’opportunità enorme di informazione e diffusione e permettono di conoscere e condividere iniziative che altrimenti rimarrebbero localizzate.
Il prossimo appuntamento con Nomattatoio sarà a fine marzo, in prossimità delle feste pasquali, e sarà tutto incentrato sulla terribile mattanza degli agnellini. Vi aspettiamo. Per dare voce a chi non ce l’ha. O meglio, ce l’ha, ma non viene ascoltata. Si spera che unendo alla loro anche la nostra voce, qualcosa si smuova.
Rita Ciatti e Eloise Cotronei per Nomattatoio
In apertura foto di un presidio di Nomattatoio. Fonte: Nomattatoio
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Compimenti!!! Finalmente sono cominciate le proteste davanti ai macelli!!
Ma se non volete loghi o simboli o associazioni perché avete aderito al meat abolition day? Non capisco
Ciao Elisa, diffondi l’idea e cominciate a protestare nella vostra città: più spesso accade e in più posti accade e meglio è!
Ciao Elisa, la data del nostro secondo presidio cadeva proprio nella giornata internazionale dell’abolizione della carne, appunto il Meat Abolition Day, e quindi ci è sembrato opportuno unire, in quella data, la nostra campagna, con l’iniziativa internazionale, che peraltro, a quanto mi risulta, non è un’associazione, ma solo appunto un progetto condiviso.
Non è escluso che in futuro ci si possa unire ad altri progetti, o parlare di altri progetti simili al nostro, ma non stiamo parlando di associazioni.
Quando diciamo che non vogliamo sigle o simboli di associazioni, intendiamo che non vogliamo bandiere, cartelli, magliette o altro riconducibili appunto ad associazioni. Questo non significa però, ad esempio, che non vogliamo persone iscritte ad altre associazioni, purché quel giorno vengano a manifestare come singoli attivisti e non in rappresentanza di un’associazione. Tanti sostenitori della campagna fanno parte di associazioni, ma sanno come funziona e lasciano a casa simboli o materiale con loghi specifici.
Io stessa faccio parte di un’associazione, ma la campagna NOmattatoio la curo e porto avanti come singola, come persona, insieme ad altre persone.
Spero di aver risposto in maniera esauriente alla tua, legittima, curiosità.
Ciao e grazie! :-)
P.S.: per esempio ci sosteniamo vicendevolmente con gli attivisti di Toronto (Toronto Pig Save, Toronto Cow Save) e ci piacerebbe una volta fare un presidio in concomitanza con qualche loro iniziativa. Anche loro sono attivisti singoli, peraltro ci siamo ispirati proprio alle loro iniziative quando abbiamo deciso di fare qualcosa vicino ai mattatoi (o comunque dove passano i tir carichi di animali diretti al mattatoio, nel loro caso) anche in Italia.