Eremocene e Alterità


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Interessante articolo di Natan Feltrin pubblicato tempo fa sul sito web Gallinae in Fabula.


Fonte: gallinaeinfabula.com/2017/08/11/eremocene-e-alterita

L’umanità con le sue pratiche ha innescato un incredibile e preoccupante cambiamento nella biosfera di Gaia, così radicale che gli scienziati, al giorno d’oggi, parlano di una nuova epoca geologica, o era, chiamata “Antropocene”.
Antropocene è un’ampia cornice che include un vasto spettro di fenomeni ecologici, fra loro strettamente interconnessi, quali il cambiamento climatico, l’acidificazione degli oceani, l’incredibile perdita di biodiversità, il consumo eccessivo di acqua potabile, l’alterazione del ciclo dell’azoto, l’impoverimento del suolo per scopi agricoli, l’inquinamento chimico e altri punti di non ritorno. Al giorno d’oggi, l’umanità si trova sempre più vicina all’orlo di un precipizio: vive su di un sistema finito e con un delicato equilibrio biogeochimico che ogni giorno diviene sempre più compromesso. Per poter tenere intatti i feedback negativi caratteristici di una ecosfera resiliente sappiamo bene che ci sono limiti planetari da non superare. In ogni caso, se il Climate Change, giorno dopo giorno, diviene uno dei temi caldi sempre più discussi in seno all’opinione pubblica e nei grandi vertici mondiali, quali la COP21, permane fuori dalle grandi agende internazionali la più critica linea di non ritorno: l’incredibile tasso di estinzione generato da fattori antropici. Nel secolo ventunesimo la Terra ospita 7,5 miliardi di esseri umani. Questo sconcertante numero, destinato a crescere sino alla fine del secolo, significa non solo che viviamo in un pianeta più stretto, ma anche in un pianeta più povero di diversità. I nostri consumi moltiplicati per il nostro numero (e il nostro livello tecnologico secondo la celebre equazione IPAT) rivelano la nostra impronta ecologica la quale è strettamente ed inevitabilmente connessa al tragico fenomeno noto come Sesta Estinzione.
Da un punto di vista scientifico ci sono diversi aspetti collegati alla grande estinzione causata dall’impronta antropica: la distruzione degli habitat, la pesca intensiva, l’inquinamento acustico e l’acidificazione degli oceani, il cambiamento climatico, l’effetto Nuova Pangea (enorme introduzione di specie aliene causata direttamente o indirettamente dagli esseri umani), l’abbattimento della foresta equatoriale, la caccia illegale di specie a rischio, gli allevamenti intensivi, etc… Al giorno d’oggi non è più ignorabile la grande importanza di una biodiversità in salute: da l’Origine delle Specie di Darwin (1859) sino all’ecologia moderna la nostra scienza conferma il ruolo centrale della biodiversità per la prosperità della specie umana sulla Terra. In verità ogni specie trae fortuna dall’esistenza di una biodiversità in dinamica armonia! Sfortunatamente, comunque, dobbiamo riconoscere che pochissimi progressi sono stati compiuti fino ad ora per tutelarla, nonostante l’importante ruolo giocato in questo senso dai numerosi parchi e dalle organizzazioni ambientaliste. E. O. Wilson scrive: «Earth’s biodiversity is a dilemma wrapped in a paradox. The paradox is that the more species humanity extinguishes, the more new species scientists discover. Like the conquistadors who melted the Inca gold, they recognise that the great treasure must come to an end—and soon».
Stando a Wilson l’unico metodo efficace per fermare la desertificazione della diversità è quello di istituire nuovi parchi sparsi per il Mondo fino a coprirne esattamente la metà. Forse, la proposta di Wilson può suonare troppo eccentrica ed estrema, ma è proprio il suo quasi fantascientifico disegno, nella sua inaccettabilità pratica e ideologica, a sottolineare alcuni elementi chiave del nostro rapporto con animali, piante e altre forme di alterità vivente.
Noi, come umanità occidentale, basata su di una visione capitalistica del mondo, guardiamo all’alterità da un punto di vista meramente funzionale, utilitaristico e economico. L’anthropos a cui l’Antropocene fa riferimento non è l’Homo sapiens, ma l’Homo oeconomicus, o consumatore, protagonista incontestato della Grande Accelerazione degli Anni ‘50. In questa interpretazione, proposta da Moore, l’Antropocene diviene l’acme del nichilismo attraverso la perdita delle diversità culturali e biologiche. Egli chiama questa epoca Capitalocene per rimarcare l’aspetto prettamente economico, miccia di questa crisi ambientale. Al contrario, Wilson chiama questa epoca Eremocene: l’Età della Solitudine. L’umanità perdendo la possibilità di essere una relazione aperta con le alterità, perde inesorabilmente la sua collocazione simbolica su Gaia, e la sua propria identità. Questo processo di desertificazione chiamato Sesta Estinzione potrebbe essere il più grande crimine commesso dall’umanità negli ultimi 200 mila anni di storia. Un crimine contro la vita stessa e le sue trame. Alla luce di queste premesse nasce la convinzione che sia doverosa un’indagine filosofico-culturale alle radici profonde di questa possibile ed imminente “Età della Solitudine”.
Come può l’alterità essere estirpata così facilmente e senza rimorsi? Perché non vi è un forte e condiviso senso di consapevolezza dell’attuale estinzione? Perché alla maggior parte delle persone interessa così poco la perdita di tante specie? Le questioni legate al perché la maggioranza delle persone accetti così docilmente questa folle corsa all’Età della Solitudine deve essere il campo per una profonda analisi filosofica. Per evitare l’Eremocene è rimasto poco tempo a disposizione. Noi, come società globale, dobbiamo cambiare punto di vista circa quel che davvero ha valore nell’alterità. Questo processo deve prendere le mosse da una critica del sistema ontologico piramidale degli esseri viventi: la gerarchia ontologica classica. In questa prospettiva gerarchica ogni creatura sulla Terra si tramuta in oggetto d’uso per chi si autocolloca al gradino superiore. Un esempio eclatante di siffatta reificazione, è il magazzino, scoperto questo luglio in Colorado, ricolmo di beni ricavati da specie a rischio che rivela una crudeltà di dubbio gusto nel trasformare creature maestose in meri oggetti d’arredo. Da questa trasposizione oscena dell’essere prende forma una galleria degli orrori in cui giraffe divengono comodini, elefanti poltrone e zebre portalampade. Il crimine di maltrattare l’”altro vivente” trova fondamento nella malcomprensione del nostro collocamento sulla Terra e del senso del nostro essere relazione con l’intero mondo della diversità nel comune dramma della Creazione.
Una nuova visuale ontologica ed etica, antroposcopica ma non antropocentrica, potrebbe essere necessaria per destreggiarsi con questioni spinose quali la gestione delle specie invasive, l’idea di conservazione compassionevole, il problema della relazione tra popolazioni native e tutela del wilderness e la cornice morale dell’idea di de-estinzione. Queste non sono mere e astratte preoccupazioni filosofiche ma, specialmente nel continente australiano, concreti problemi di etica applicata. Se volessimo affrontare l’Eremocene ed i suoi primi sintomi, l’attuale estinzione andrebbe ripensata nel nuovo orizzonte di un più esteso cerchio morale senza un epicentro isolato.

Natan Feltrin

4 Commenti
  1. Massimo ha scritto:

    Come sempre articolo che fa riflettere parecchio. Rimango però ottimista, non nell’umana capacità di dare una svolta ma nella natura, in Gaia di dare una svolta definitiva per la sua e non nostra sopravvivenza.

    15 Febbraio, 2018
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  2. yuri ha scritto:

    rifletterei anche sui reali significati di antropocene, era geologica nella quale l’essere umano si muove e ne determina i mutamenti che non sarebbero così veloci e terribili se non agisse nel sistema e per il sistema capitalistico. possiamo perciò parlare di era “capitalocene”?
    nella quale il sistema capitalistico determina realmente le cause dei cambiamenti climatici, comprimendo ed accelerandone i tempi. Questo ci permette di trasferire la discussione su una dimensione politica e non solo puramente umana, trasferire le responsabilità dall’uomo al sistema che ha reso schiavi e ha sfruttato risorse del pianeta, umane e non umane. quindi oggi dovremmo parlare di capitalocene quando vogliamo discutere delle cause e dei colpevoli.
    E’ il capitalismo infatti che crea questa aberrazione e che gioca con il termine di antropocene trasferendo agli esseri umani, in modo indiscriminato, le colpe di questa catastrofe. Mentre le colpe al limite sono di poche migliaia di esseri umani che hanno agito per alimentare la finanza e l’economia, per alimentare il potere sempre in funzione del sistema capitalistico.
    perciò non si può affermare che l’era geologica antropocene sia determinata dalle devastazioni ambientali che tutti gli esseri umani perseguono in modo indipendente. Tutti gli esseri umani sono pedine attive o passive del sistema capitale, che condiziona le nostre vite da secoli, obbligando gli esseri umani ad agire per il sistema e nel sistema per essere legittimati a farne parte o banalmente per sopravvivere e arrivare alla fine del mese, per sfamare la propria famiglia.
    per questo motivo ricattabili e facilmente plasmabili.

    24 Maggio, 2020
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    • Veganzetta ha scritto:

      Certamente si può e si deve anche parlare di “Capitalocene” come afferma Jason W. Moore, questo perché è sotto gli occhi di tutti ciò che il capitalismo (soprattutto nella sua versione globalizzata) sta facendo al pianeta, ai viventi e anche alla società umana: l’accelerazione dei ritmi produttivi, la caduta di ogni minima remora morale sullo sfruttamento e la reificazione del vivente, la distruzione sistematica dell’ambiente.
      Bisogna però dire le cose come stanno: se il capitalismo non fosse esistito, il comportamento dell’Umano verso i viventi e la Natura tutta non sarebbe diverso, probabilmente sarebbe stato solo più lento.
      Le aberrazioni di cui parli non le ha create il capitalismo, esso le ha sole accelerate, perfezionate ed esasperate. Se il modello socio-economico dominante fosse stato quello socialista, le cose non sarebbero di certo andate meglio a giudicare dall’esperienza russa e non solo.
      L’errore principale è proprio continuare a pensare che la dimensione politica riguardi solo il sistema e non il comportamento individuale.

      Ciascuno di noi è un centro di riproduzione del paradigma antropocentrico dominante.

      La responsabilità individuale è ENORME, non si può e non si deve continuare ad addossarla solo al sistema, agli Stati, ai governi, alle multinazionali: essi sono la risultante e la rappresentazione plastica del pensiero che alberga dentro ciascuno di noi. Le istituzioni sociali, politiche, religiose, scientifiche, militari, statali, le industrie e i sistemi produttivi, non solo emanazioni di esseri extraterrestri che hanno calato dall’alto una loro visione imponendola alla specie umana, ma sono il risultato della nostra interpretazione della vita e del nostro processo di antropogenesi.
      Il capitalismo sfrutta i viventi, i loro corpi e la Natura, soggioga, distrugge e consuma per generare profitto, esso è un metodo assurto a sistema sociale partorito da menti umane, teorizzato da economisti e filosofi, messo in pratica da industriali, magnati, ma anche da semplici imprenditori, fino agli artigiani e ai contadini.
      Il capitalismo nasce quando si comprende che è possibile trarre benefici dallo sfruttamento di qualcosa, ma soprattutto di qualcuno, prende vita e forza dalla domesticazione e dal possesso degli Animali e delle Piante. Tutto ciò ha avuto origine sempre da noi Umani, dunque anche le società umane pre-capitaliste o proto-capitaliste avevano già in fieri un progetto espansivo di dominazione, difettavano di tecnologia, metodo e mezzi.

      La società capitalista e le attività antropiche che devastano il pianeta non funzionano nonostante noi, ma grazie a noi. La causa siamo noi come pure i colpevoli, il capitalismo e le sue strutture socio-economiche sono il risultato.
      Non esistono “poche migliaia di esseri umani che hanno agito per alimentare la finanza e l’economia, per alimentare il potere sempre in funzione del sistema capitalistico”, esistono miliardi di Umani che hanno agito per questo motivo, certamente in modo diseguale, ma sempre partendo dallo stesso concetto.
      Le dimostrazioni pratiche sono infinite, a partire dalla “movida” post lockdown a cui stiamo assistendo nel nostro Paese in questi giorni, alle file davanti ai McDonald’s: puro consumismo per “recuperare” il tempo “perduto” durante la pandemia.
      Certamente la colpa maggiore ricade sui centri di potere, ma essi esistono e prosperano sull’imbecillità della massa.
      Dunque si può proprio affermare che l’età dell’Antropocene sia ANCHE determinata dalle devastazioni ambientali che tutti gli esseri umani perseguono in modo indipendente, questo perché ogni singolo Umano è ATTORE di quanto sta accadendo, che poi se ne curi o se ne preoccupi è un altro discorso.
      L’Antropocene va dalla multinazionale distruttrice di foreste, territori, mari e sfruttatrice di Animali e in generale dei viventi, fino al pensionato che dietro casa fa per diletto l’orto imbottendolo di antiparassitari, insettidici, anticrittogamici, fertilizzanti, plastica, piante OGM. Sterminando ogni singolo essere vivente che sia considerato “dannoso”, non sia utile o non porti un vantaggio per lui.

      Certamente i singoli Umani sono pedine, ma consenzienti e del resto se ciascuno di noi contribuisce al lavoro collettivo di abbattimento di un albero, quando cade e travolge tutto (noi compresi), non si può addossare la colpa solo alla parte più attiva nella demolizione della collettività che ne ha causato il crollo: il nostro è un lavoro di squadra.

      Dunque in conclusione l’Antropocene come si sta verificando ai nostri giorni, può anche essere chiamato Capitalocene, ma non solo. In ogni caso anche se non ci fosse stata alcuna corsa all’accumulo di capitale, la propensione al dominio dell’Umano e la negazione dei diritti fondamentali alla vita degli altri ci avrebbe ugualmente condotti all’Antropocene, il problema è e rimane uno solo: l’antropocentrismo. Dobbiamo smettere di pensare che le vittime siamo noi Umani, perché al massimo siamo vittime delle nostre stesse idee.

      25 Maggio, 2020
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  3. yuri ha scritto:

    indubbiamente è necessario un atteggiamento antroposcopico sul presente, partendo dalle radici. L’eremocene però è una declinazione, una conseguenza del capitalocene, senza capitalismo non esiste solitudine e alienazione, non c’è frammentazione. Una società che si basa sulla compassione, nella quale l’IO fiorisce nel NOI, non può inglobare il sistema capitalista, non può accettare nemmeno una forma rivista e corretta, un capitalismo depotenziato. Il capitalismo è causa dell’eremocene e di una possibile 6 estinzione.

    24 Maggio, 2020
    Rispondi

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