A proposito di carote, pietre, Lombrichi e Animali…


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Un articolo interessante a cura di Paolo Scroccaro pubblicato sul Quaderno di Ecofilosofia n. 41 – settembre/ottobre 2017 edito dall’Associazione Ecofilosofica, che tratta un argomento che sicuramente dovrà essere approfondito.


A proposito di carote, pietre, lombrichi e animali…

Paolo Scroccaro risponde a due obiezioni di segno opposto: alcuni dicono che dobbiamo occuparci solo degli animali, in quanto esseri senzienti simili a noi; di contro, altri sostengono che anche i vegetali soffrono, per cui non ci sarebbe via di scampo dal dolore e dalla violenza… [estratto da una animata e interessante discussione su www.veganzetta.org]

Il mondo, da un certo punto di vista, è un posto terribile: per vivere, dobbiamo comunque esercitare un impatto sugli altri esseri! Questo problema ha tormentato notevolmente le coscienze di molti saggi dell’antichità, ma molto meno quelle dei moderni, che credono di essere più furbi, ma sono solo spregiudicati e privi di compassione. Siccome il mondo è un abisso di dolore, la cosa più sensata che possiamo fare, è cercare di ridurlo il più possibile; veganesimo e antispecismo, ma non solo, cercano di andare, giustamente, in questa direzione (anche se gli argomenti che usano non sempre sono i migliori): benissimo, ma la cosa non finisce qui, cioè nel confine delle specie animali più blasonate, perché resta comunque un impatto devastante su moltissimi piccoli esseri e moltissime specie non considerate. Di fronte a queste evidenze, molti fanno spallucce, oppure inventano argomentazioni ad hoc per cercare di giustificare il fatto che i lombrichi si possono uccidere (mica lo facciamo apposta!), le carote si possono mangiare senza alcuna remora e le pietre si possono frantumare… Le uscite peggiori sono quelle di coloro che pretendono che tutti questi esseri siano originariamente destinati ad essere semplici strumenti finalizzati a noi… per cui va bene così!! [Antropocentrismo di ritorno, e neanche tanto forbito]. Meglio evitare l’ipocrisia, ammettere gli aspetti tragici e dolorosi dell’esistenza cosmica, e porre seriamente e costruttivamente il problema di ridurre il dolore cosmico, di ridurre l’incidenza sugli infiniti esseri: per es. tramite modi meno aggressivi di procurarsi il cibo (ogni progresso è il benvenuto, permacultura veg o altro), mangiando in modo moderato ed “efficiente” (cioè in basso lungo la catena alimentare, perché comunque si impatta molto meno), contenendo l’antropizzazione (ci siamo già appropriati di troppa natura)… Ciò nonostante, è evidente che restiamo in forte debito nei riguardi della vita cosmica e dei suoi innumerevoli abitatori (grandi, piccoli, invisibili): per questo gli antichi, o meglio le saggezze cosmocentriche, onoravano la natura nel suo insieme, così da richiamare l’attenzione su questo complesso intreccio, per certi versi meraviglioso, e per altri intriso di dolore. La consapevolezza così raggiunta e costantemente evocata induce all’umiltà, al riconoscimento dei nostri limiti intrinseci e della nostra perenne dipendenza da innumerevoli fattori, verso i quali abbiamo un obbligo di riconoscenza, di cura e di rispetto, senza facili alibi e per quanto ne siamo capaci. Alcuni l’hanno chiamata “etica della compassione cosmica”.

4 Commenti
  1. Marco ha scritto:

    Leggo che “ciò nonostante, è evidente che restiamo in forte debito nei riguardi della vita cosmica e dei suoi innumerevoli abitatori (grandi, piccoli, invisibili)”…

    Io su questo non sono d’accordo perchè non possiamo vivere col senso di colpa solamente perchè se zappo il terreno per piantarci una carota uccido svariati microrganismi. Tutti gli esseri viventi in qualche modo hanno un qualche impatto di natura “violenta” su altri esseri viventi, non ci sono ragioni per cui l’uomo debba sentirsi maggiormente in colpa rispetto ad altri esseri viventi.
    Certo l’uomo ha una maggiore coscienza di se stesso e del mondo rispetto agli altri esseri viventi, tuttavia laddove non c’è responsabilità non ci può essere colpa.
    Possiamo evitare di allevare e uccidere gli animali ma non possiamo evitare di camminare su un prato perchè temiamo di schiacciare un insetto o una margherita, nè possiamo evitare di spostarci in bici, auto, treno o aereo o di coltivarci qualcosa per noi stessi o per gli altri.
    E’ la nostra vita ed è giusto viverla senza sensi di colpa.

    12 Aprile, 2018
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  2. Paolo Scroccaro ha scritto:

    Proprio così: vivere significa esercitare un qualche impatto sugli altri esseri, ma con intensità molto diversificate. Nel caso dell’uomo, la potenza smisurata di cui dispone fa sorgere interrogativi di ordine etico ed ecologico, che stanno al centro delle emergenze attuali: non possiamo assecondare la moltiplicazione di questa potenza impattante, che si mostra ogni giorno di più come superviolenza su tutti gli esseri e come devastazione degli ecosistemi e dei preesistenti equilibri naturali. Abbiamo bisogno di un orizzonte di senso adatto alla nostra epoca: in questo contesto, è indispensabile ridimensionare il nostro impatto su tutti gli esseri, e non solo sugli animali più blasonati, in quanto sarebbero “più simili a noi”. In fin dei conti, questa è anche la prospettiva di una strategia di decrescita, se correttamente intesa (cioè in senso non antropocentrico). Cosa possiamo fare per limitare il nostro impatto, per alleggerire la nostra impronta sulla Terra? Moltissime cose: “mangiare in basso” lungo la catena alimentare è una di queste, ma non basta. Per esempio dobbiamo inventare metodi meno aggressivi di coltivare la terra: coltivare senza arare va in questa direzione, e la permacoltura veg può fornire validissimi contributi in materia. Le infrastrutture di trasporto sono una delle maggiori cause di frammentazione ecosistemica, di aggressione alla biodiversità e alla fauna maggiore e minore: non possiamo continuare ad asfaltare e cementificare, dobbiamo porre un limite, ci sono già troppe strade e troppe auto in circolazione, utilizzate per i capricci più svariati e irresponsabili (similmente dicasi per aeroporti e viaggi aerei). Per quanto riguarda le strade preesistenti, occorre quanto meno attrezzarle con corridoi protetti, passaggi protetti per la fauna, al fine di limitare i danni (se non riusciamo a far di meglio). Non possiamo continuare a deforestare in nome degli allevamenti estensi, del profitto, dell’agricoltura: gli ecosistemi intatti sono il “fattore limitante” della nostra epoca, perciò dobbiamo favorire la loro espansione, non il contrario… questi sono solo alcuni esempi di ciò che si dovrebbe assolutamente fare, a favore di tutti gli esseri, anche quelli meno “carismatici”; e tutto questo gioverebbe anche all’uomo contemporaneo, e non solo perché si troverebbe a vivere in un ambiente più sano e confortevole. La “dismisura” in tutti i campi (non solo in economia) è la malattia mortale del nostro tempo, la “follìa dell’Occidente”; un po’ di saggezza, incentrata sul senso del limite, sulla compassione e sul ridimensionamento della prepotenza antropocentrica, ci farà solo bene.

    24 Aprile, 2018
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    • Marco ha scritto:

      Se tu vuoi trapiantare un albero o metterci un semino, un buco ce lo devi fare, questo vuol dire probabilmente eliminare qualche essere vivente. Dobbiamo sentirci in colpa?
      In questa fase della stagione bisogna tagliare l’erba dai campi, pena aumento delel possibilità di incendio e altri inconvenienti. Anche questo crea problemi ad alcuni esseri viventi. Dobbiamo sentirci in colpa?
      Io a entrambe le domande rispondo NO.

      26 Aprile, 2018
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      • azza ha scritto:

        non si tratta di sedersi in un angolo angosciati dal senso di colpa cessando ogni attività, si tratta del prendere atto del sentimento di dispiacere e colpa che deriva dal danneggiare nostro malgrado animali e vegetali, e farne il motore per migliorare nel quotidiano le nostre strategie di azione sull’ambiente in cui viviamo. nel fare una buca per piantare un nuovo albero si può abbattere radicalmente il numero di animali del sottosuolo uccisi partendo con un tridente e non con una vanga, e rimuovendo la terra smossa con una paletta, con delicatezza, avendo cura di rimettere i lombrichi disturbati sotto un leggero strato di terra alla fine. tagliare l’erba più lentamente, ad esempio con una falce o un decespugliatore, concede molto tempo agli animali per scansare il pericolo rispetto all’uso di grandi macchinari agricoli (quanti topi e conigli “mummificati” si trovano nelle rotoballe di fieno!). certo ci vuole più tempo, e su enormi appezzamenti è infattibile, ma francamente se non per la fienagione per gli animali da stalla non capita spesso di dover gestire ettari di prato aperto. coltivare in bancali che non si calpestano mai consente di avere ottima terra sciolta con una sola lavorazione profonda iniziale del terreno, senza ripeterla ogni volta, e la terra è così soffice poi che basta fare un buchetto con la mano per trapiantare una piantina, senza ferire nessun animale. non sono strategie impossibili da attuare, basta un po’ di volontà. se proprio vogliamo, anche le carote si possono raccogliere e mangiare ripiantando l’apice con le foglie, non ne nascerà una nuova carota da radice ma vivrà, fiorirà, potremo addirittura raccogliere i semi da ripiantare o semplicemente godere della bellezza di un’aiuola di fiori di carota – un’ottima fonte di cibo e di vita anche per gli impollinatori.
        se il senso di colpa ci spinge a migliorare, ben venga. fermo restando che concordo con te sul fatto che bisogna farsi una ragione dell’impossibilità di esistere a impatto zero, e della nostra animalità che ci pone al pari di tutti gli altri animali in un’esistenza materiale che è quanto di più diverso dalla perfezione ideale a cui antropocentricamente (e illusoriamente) spesso aspiriamo.

        30 Aprile, 2018
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