Morte di un intellettuale scomodo


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E’ morto alla veneranda età di 91 anni Guido Ceronetti: poeta, filosofo, scrittore, traduttore, giornalista, drammaturgo, autore teatrale e audiovisivo italiano. Irrequieto, spiazzante, disturbante e scomodo per chiunque, ma soprattutto pensatore a tutto tondo impossibile da classificare.
Su di lui si è detto di tutto, ma come si afferma in Minima&Moralia “Con Ceronetti si può anche non concordare su nessun punto, ma è difficile negare di trovarci di fronte a un raro esempio di libertà intellettuale. Ormai, purtroppo, sempre più inattuale”.

Veganzetta vuole ricordare il Ceronetti animalista che ha prodotto numerosi testi sulla condizione animale, ma in particolar modo sul mangiar carne e sul dolore causato dall’Umano agli altri Animali. Di seguito alcune citazioni.

Da molti anni sono vegetariano e posso dire di averci guadagnato in salute fisica e mentale. Non ho perduto che le macabre catene del conformismo onnivorista.
Dati i prezzi del mercato delle carni, una famiglia volontariamente vegetariana galleggia meglio, può spendere in raffinatezze quel che risparmia in pezzi di cadavere, ha un bilancio meno pesante e lo stomaco meno guasto. Meglio sia un’intera famiglia a nutrirsi vegetarianamente, e non un solo componente, perché così non c’è separazione a tavola, tutti unisce in un magico circolo l’ideale comune. Siate diversi, sostanzialmente diversi da come vi vogliono, da come vi fanno essere! E per esserlo infallibilmente, bisogna cominciare dal nutrimento, tutto è lì. Il vegetarianismo familiare è un’incrinatura sensibile dell’uniformità sociale, una piccola porta chiusa al male, in questa universale condanna a essere tutti uguali a servirlo. I bambini non sono un problema: quasi tutti sono, spontaneamente, vegetariani, e un vegetariano avveduto non li priva certo di proteina. La carne gli viene imposta dall’idiozia carnivorista degli adulti.

Da La carta è stanca: una scelta

È più che legittimo che il Papa pensi alla sua Polonia. Ma anche un pappagallo è Polonia. Anche un agnello trascinato al mattatoio è disperata Polonia. Anche una piccola foca bianca del Labrador è Polonia, e addirittura più Polonia della patria polacca che anche noi amiamo. E verso le povere bestie, l’uomo è cento volte Unione Sovietica! Guai a esaltarne la sinistra potenza! La compassione non è divisibile.

Da Il telegramma dell’annoLa Stampa, 3 gennaio 1982

Il diluvio di carni macellate che cade ogni giorno sulle città dell’Occidente annuncia stragi, malattia, pazzia collettiva, perdita d’anima, oscuramento e imbrattamento mentale. Più energie malsane per teste da sbatacchiare nel buio. C’è dentro la maledizione delle quaglie alle tombe dell’Ingordigia.

E dicono di avere abolito i sacrifici animali! Soltanto il rito hanno abolito: li sterminano ininterrottamente, illimitatamente, senza bisogno.

I prodotti farmaceutici per cani e gatti dovrebbero essere prima sperimentati sull’uomo, tenuto in appositi stabulari.

Per quanta giustizia possa esserci in una città, basta la presenza del mattatoio a farne una figlia della maledizione. Per quanto nobile possa essere una ricerca di medicina, la sperimentazione su esseri viventi ne farà sempre una figlia della maledizione.

Solo un vero vegetariano è capace di vedere le sardine come cadaveri e la loro scatola come una «bara di latta»; un mangiatore di carne (non mi sento di scrivere «un carnivoro» perché l’uomo non è un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C’è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull’anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce.

Sapere vegetariani Leonardo e Kafka, sopratutto, mi dà frescura: si muovono, nel mondo contaminato, incontaminati, portando una luce non mescolata alle candele piene di lamento, alle lampadine fosche del mattatoio e della stalla sacrificale.

Fissiamo un attimo l’attenzione su un punto: delle sole pene che costiamo agli animali usati per gli esperimenti si compone una catena di Ibris (che sento esclusivamente come peccato di oltrepassamento della legge morale sovrastante e non rivelata) da coprire di gelido pallore tutte le grecità di questo e di altri mondi. La medicina, in tutto il suo vocabolarificarsi di greco fino all’invasione delle sigle americane, non ha trovato il modo di annettersi Ibris, la sua malattia fondamentale, la sua colpa di potenza che rifiuta il Limite. Quando la terra vomiterà le sue storie tutti quegli occhi di deboli sacrificati li rivedremo.

 Da Il silenzio del corpo

Mi stupisco, quando vedo gente giovane mangiare carne. Mi sembra talmente cosa d’altre epoche! La gioventù carnivora non è coi tempi, ha uno stomaco da secolo XIX, che carnivorizzò l’Europa… Cibarsi di pezzi di animali macellati è un’anomalia, fuori della dieta vegetariana non c’è giovinezza vera. La carne è per lo più un’angosciata abitudine dei vecchi. Richiedere piatti di carne, parlarne, ricordarli è cosa da vecchi, e da vecchi incapaci di svecchiarsi con una dieta decisamente alternativa.

Voi mangiate il vostro foie gras insieme ai chiodi di Gesù Cristo. 

Spia dell’autenticità della Compassione, la tenerezza ne restringe il campo. La compassione buddhista per tutti gli esseri viventi ne fa una pura dichiarazione di principio, è astratta come l’universale amore cristiano. La tenerezza non va oltre i pochi e qualche animale, si piglia cura di un solo angelo ferito. Non c’è né vera compassione né vera tenerezza senza alimentazione rigorosamente vegetariana: dunque tutti i preti fuori.

Facile è amare insetti che troviamo bellissimi, rari, figli del musicale ronzare lontano dei Tristi Tropici – diffìcile l’amore per mosche, scarafaggi, zanzare. Se li ami, se gli concedi un angolo della tua carne perché si sfamino, sei già rinato Buddha.

Da Insetti senza frontiere

La campagna sanguina per i misfatti dell’intelligenza umana.

La civiltà uccide gli alberi col fiato.

Da La fragilità del pensare

L’animale torturato, straziato e svaginato del proprio essere naturale, in ogni momento di tutti i secoli del predominio umano. Il suo grande urlo dal neolitico attraversa tutto l’arco sgocciolante sangue e lacrime della nostra maledizione in terra… Per chi abbia un cuore che abbia orecchi non è un silenzio, è veramente un urlo spaventoso, che si avvinghia ai lobi, che ci preme il petto con ginocchio di ferro…
Ogni atto di tenerezza e di pietà, anche minimissimo, è infinitamente prezioso nella straziante giostra cosmica perché la storia non dà primati che alla martellante brutalità della Tenebra, non ha da esibire che strepiti e cori di vigliaccherie di forti calpestanti le debolezze…
Chi tirerà fuori anche un solo topo da una gabbia sperimentale sarà scritto nei libri delle Sibille angeliche.

Non mangiare carne è un’etica assoluta: per chi sia cosciente di quel che significa allevare-macellare-trafficare carni, e non è disposto ad approvare tutto, e tuttavia non si astenga, non ci sarà perdono.

È in uso ormai negli allevamenti l’Ingozzatrice Meccanica (regolata da calcolatore…) che ingozza oche ed anatre […] attraverso un tubo piantato in permanenza nell’esofago della vittima: gli entra mais cotto e salato tre volte al giorno per tre settimane, in tutto quindici chilogrammi di mais, col martirio supplementare di quattordici ore di bombardamento luminoso ogni giorno, in stabulari stipatissimi. […] L’unica punizione per chi a sua volta s’ingozzerà di quel fegato, i residui chimici del trattamento… Un sistema naturale è invece di lasciare senza cibo le neonate all’uscita dalle immense covate artificiali: con quel ricordo in corpo l’animale adulto avrà una fame insaziabile e collaborerà con entusiasmo all’industria del foie gras.

Tracce d’impurità carnivora mi restavano e ogni tanto, ancora, ordinavo della carne con un po’ di cipolla, cessai del tutto ogni necrofagia soltanto nel Settanta, mi pare, da allora non ho più toccato nutrimento cadaverico, qualunque fosse la tecnica o il rituale di strage. Se si voglia vivere secondo un codice etico decente non dovrà esserci sulla via che percorriamo nessuna ombra di mattatoio.

Ero solo in casa e Petalo come al solito si era messo a grattare la porta e a gemere nel modo più molesto e inurbano, disturbando indicibilmente la mia concentrazione profonda di filosofo. […] Con una scopa corsi alla porta e… ma non ricordo di avergli dato un colpo… forse glielo minacciai soltanto, urlandogli istericamente di filare […]. Quel che ricordo nitidamente, come se guardassi una istantanea di quel momento, è la fuga del maleamato sulla rampa della scala […]. Su ogni gradino c’erano gocce di sangue. Petalo era ferito. Era venuto a supplicarmi soccorso e si era ricevuto un colpo di scopa.
Andai su a vedere, temendo di essere stato io il feritore… (Forse glielo diedi, il colpo). Stava leccando del latte, disperatamente. Una zampina era stata portata via di netto da qualcosa di terribile, e sulla schiena aveva uno squarcio, vicino al collo, un cratere di sangue. Non si lamentava più, ogni tanto ci guardava, come fossimo stati i suoi giudici, o i suoi medici.
Chiamai il veterinario, che aveva il rimedio nella borsa e che consigliò di adoperarlo subito. Era stato un cane a ridurlo in quello stato […]. Mentre il misericordioso Dottore preparava l’iniezione, [Petalo] mi fissò in modo indimenticabile e volle – proprio così – che la mia mano si posasse dolcemente sulla sua mutilazione, un grumo di dolore che spenzolava. Non so se mai più mi capiterà di supplicare mentalmente, con tanta angoscia e febbrile vergogna, qualcuno, qualche groviglio di visceri viventi, di perdonarmi, sul punto della morte.

Da La pazienza dell’arrostito

Tutte le torture, i patimenti, i terrori (per Némesis, imperdonabili) inflitti agli animali appartengono legittimamente al dolore infinito della storia e ne modificano il senso, se ne abbia uno (patire è essere modificati: tutta la storia, da quel patire oscuro, invendicato dalla parola, il più privo di giudici e tribunali, è modificata).

Da Pensieri del Tè

Un commento
  1. Paola Re ha scritto:

    Sono commossa nel leggere il ricordo di Ceronetti su Veganzetta. Ho letto tutto di lui.
    E’ stato un vero intellettuale. Se un intellettuale non è scomodo, che intellettuale è?
    Non ce ne facciamo nulla di persone colte che sfornano libri e chiacchierano nei salotti (magari pagati con soldi pubblici).
    Buon viaggio caro Guido.

    20 Settembre, 2018
    Rispondi

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