Lo specismo fin dalla culla: il paradosso del maialino


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Tra i balocchi più amati ancora oggi dai più piccoli indubbiamente gli Animali di peluche spiccano per popolarità ; ogni cucciolo di Umano ha desiderato possedere un cagnolino, un gattino, un orsetto o un maialino di morbido peluche da accarezzare, con cui parlare, giocare e con cui condividere gioie e paure, l’immagine del bimbo che si addormenta sereno nel lettino abbracciato al suo fido ed inseparabile peluche è ormai un’icona della società contemporanea.

La passione che i piccoli Umani nutrono per i piccoli di altre specie animali è del tutto comprensibile e naturale, il confrontarsi con esseri dall’aspetto grazioso e soprattutto incapaci di reazioni sgradite è da sempre stato motivo di gioia, tanto da far ergere il peluche a vero re dei giocattoli non solo per i più piccoli, ma anche per gli adulti. Il peluche rappresenta un oggetto importante su cui riversare affetto, tenerezza ed attenzioni, rappresenta un cucciolo gentile ed indifeso, un essere che tutti vorrebbero accarezzare e coccolare.

La volontà  umana di supremazia sugli altri Animali, la reinterpretazione (di volta in volta oggetto, macchina da lavoro, servo, cibo, divertimento) di questi ultimi per meglio poterli sfruttare, non permette all’Umano moderno di far confrontare la propria prole con Animali veri, se non quelli culturalmente destinati a tale scopo, temendo lo svilupparsi di un sentimento di empatia tra cuccioli di diverse specie. L’Umano ha sopperito a tale assenza costruendo esseri artificiali idealizzati, dei simulacri. Ciò ha permesso all’Umano di conferire a tali oggetti un significato del tutto particolare, aspirando ad una sorta di ritorno alla naturalità  perduta della specie umana del tutto controllata ed artificiale, dato che l’oggetto sublima la voglia di natura e di confronto con “l’altro”, e ci allontana ancora di più dal contatto con altri Animali reali. Questa terribile dicotomia tra realtà  e artificio è la causa prima del fenomeno che definiremo per comodità  “il paradosso del maialino” – termine forse buffo ma appropriato – ossia la capacità  degli Umani di provare sentimenti di tenerezza ed affetto anche intensi per oggetti che rappresentano Animali da lui trattati nella realtà  in modo crudele e spietato, e uccisi per essere trasformati tramite vere e proprie catene di “smontaggio” in cibo.

La capacità  del padre di sedersi a tavola e servire della carne di un Maiale ucciso al proprio figlio che magari stringe in mano un peluche raffigurante lo stesso Maiale da cui derivano le carni che mastica, è concettualmente incredibile. L’unica giustificazione che si può addurre a tale comportamento è che l’Umano è ormai vittima della totale rimozione (di natura culturale), da esso stesso operata, di qualsiasi collegamento anche remoto tra l’idea del cucciolo e l’origine del cibo di cui si nutre. Tale rimozione è un processo educativo (sarebbe meglio definirlo diseducativo) che parte sin dall’infanzia e procede fino alla totale alienazione della consapevolezza che l’Animale rappresentato dal giocattolo è un essere vivente reale, un essere senziente capace di soffrire e gioire con una propria etologia e delle proprie esigenze fisiche.

Tale essere scompare dalla coscienza dell’Umano per lasciar spazio all’idealizzazione dell’Animale stesso tramite un oggetto inanimato (il peluche) che diviene a tutti gli effetti il perenne dolce cucciolo che nulla ha a che fare con la realtà . Il peluche quindi nella società  moderna rimane legato ad un limbo fantastico e fiabesco e poco, o nulla, ha a che fare con le reali fattezze, esigenze e peculiarità  di chi raffigura. “Il paradosso del maialino” è quindi un potente mezzo psicologico adoperato per la rimozione di ogni senso di colpa. “Il paradosso del maialino” , è una sovrastruttura psicologica ed emotiva che permette all’umano di continuare nelle sue abitudini a discapito di altri Animali senza provare disagio o rimorso, è in definitiva una pratica perversa che – divenuta comune – non è più ritenuta tale.

Adriano Fragano


Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno I / n° 0 del 15 Maggio 2007, p. 2

10 Commenti
  1. Violet ha scritto:

    Molto bello ed interessante questo articolo! Da vegan proveniente da genitori e famiglia di carnivori concordo pienamente sull’assurdità  ed intossicazione dei simboli usati come nutrimento artificiale al posto dei sentimenti naturali violentemente rimossi dall’educazione carnivora. E’ un processo di avvelenamento e di sdoppiamento della coscienza critica che si radica molto presto nella capacità  di immaginare alternative a quelle costrette dall’educazione, e che dissemina il sentiero dei sentimenti naturali di amore ed empatia verso tutte le altre forme di vita di taglienti frammenti vetrosi emotivi nel processo di liberazione e distacco dai modelli di finzione e quindi anche dall’autorità  genitoriale e familiare. Si potrebbe ben dire che il peluche è -un simbolo- avvelenato, un seme di alienazione -dal vero sentire-, una vera e propria barriera alla percezione della verità .

    7 Agosto, 2007
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  2. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Violet,

    La tua descrizione del processi dis-educativo è molto bella ed efficace, una descrizione che rende molto bene l’idea dell’allontanamento forzato dei piccoli degli Umani dall’empatia innata che hanno per gli altri cuccioli di Animali. Il peluche è realmente un oggetto di alienazione, o meglio un mezzo di condizionamento psichico a cui il bambino viene sottoposto, i frutti di questa sorta di condizionamento sono sotto gli occhi di tutti. Da piccoli non si teme il confronto ed il contatto con altri animali, con il passare del tempo il distacco, la distanza, diventano spesso incolmabili.

    Sarebbe interessante considerare altri esempi simili a quello del peluche.

    Adriano

    9 Agosto, 2007
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  3. Laura ha scritto:

    Trovo questo articolo, che mi ero persa, illuminante. Bravo Adriano, i miei complimenti. Un esempio identico che mi viene in mente: i cani in Cina: animali da compagnia e cena allo stesso tempo. Ancora peggio.

    Sono al settimo cielo sapendo che mio figlio, semmai ne avrò uno, non si ciberà  di animali non umani e potrà  diffondere la cultura che gli trasmetterò del rispetto estremo.

    5 Febbraio, 2008
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  4. Veganzetta ha scritto:

    Cara Laura,

    grazie per i complimenti.
    Vorrei però sottolineare che in Cina vi sono persone che reputano i Cani come compagni e non li mangerebbero mai, altre invece che li vedono solo come carne da macello. Lo stesso capita da noi ad esempio per i Cavalli.
    Forse esistono culture che per motivi storici hanno tradizioni più crudeli di altre, ma ogni cultura umana (anche la più semplice e primitiva o la più moderna ed evoluta) hanno il loro carico di atrocità  nei confronti dei più deboli e di chi è diverso.

    7 Febbraio, 2008
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  5. Laura ha scritto:

    Veganzetta, perfettamente d’accordo con te. Non avevo intenzione di ghettizzare i cinesi, che peraltro apprezzo per tante cose. L’esempio dei cavalli nella nostra cultura è calzante. Ho solo scritto la prima cosa che mi veniva come esempio.

    7 Febbraio, 2008
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  6. Veganzetta ha scritto:

    Certo, ma il sito è pubblico ed è meglio puntualizzare :=)

    7 Febbraio, 2008
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  7. Laura ha scritto:

    Giusto! : )

    7 Febbraio, 2008
    Rispondi
  8. gianluca albertini ha scritto:

    Le parole usate da chi ha ideato la foto, che e stata postata in FB (“porcata” più “porcata” meno) attestante una delle situazioni politiche peggiori del nostro paese, è usata strumentalmente per non dire la vera essenza dell’evento. Usare nomi e o animali per evidenziare eventi negativi deprecabili, ma anche quelli meno pesanti, ci riporta alla cultura dell’uomo della pietra. Quella cultura, che fa parte della “tradizione”, che ci viene propinata giornalmente dai pochi potenti del mondo e tra questi ha un ruolo predominante la chiesa cattolica e le religioni in genere.
    Dobbiamo imparare (e io lo sto facendo purtroppo solo da qualche anno) che il fare riferimento agli animali per qualsiasi motivo, solitamente negativo e quindi da non attribuire all’uomo, ma solo alle specie erroneamente ritenute inferiori, mantiene volente o nolente la cultura dell’oppressore, cioè di chi sfrutta e opprime i più deboli, umani e non umani. E, in questo modo, diamo una mano ai soliti potenti che vogliono farci rimanere nelle deiezioni puzzolenti (generalmente quelle degli umani carnivori o degli animali costretti a vivere innaturalmente in gabbie o segregati in batterie). Scherzando scherzando, noi continuiamo ad essere schiavi degli umani più forti, che se la ridono, perché non prendiamo consapevolezza dei meccanismi usati dalle loro strategie ed azioni, siano esse materiali che culturali (come la denominazione della foto). La loro oppressione non verrà mai meno perché noi siamo i “perfetti” schiavetti che ricordano a loro gli altri animali che utilizzano come e quando vogliono. Quelli oggetti del loro piacere, del loro cibo, del loro vestiario, delle loro pratiche di morte con armi sempre più sofisticate contro gli esseri più deboli del pianeta, e dei loro sporchi esperimenti a fini di lucro, altro che “nell’interesse della nostra salute”. Su quest’ultimo motivo sanno bene che se dovessero smettere di fare esperimenti sugli animali non potrebbero più sfornare farmaci per i quali ricevono da tutti i governi centinaia di miliardi d’incasso all’anno senza che nessuno si possa permettere di addebitare loro responsabilità penali o risarcitorie: anche se sono farmaci che NON GUARISCONO ma prorogano la malattia e/o ne causano altre; e questo fino alla morte. Conseguenza associata, alla concausa di altri fattori patologici, che raramente vengono rilevati a tali fini per gli stessi motivi economici, come l’inquinamento ambientale: aereo, acqueo e terrestre, oltre a quello elettromagnetico, dell’ozono, e del particolato prodotto dalla benzina verde ed altri combustibili mortali.
    Quindi prendiamo, per una volta, consapevolezza e uniamoci nella battaglia di CIVILTA’ per una nuova ETICA interspecifica che permetta di vivere senza le azioni che IMPEDISCONO UN SANO ED EQUILIBRATO RAPPORTO CON GLI ALTRI ANIMALI e facciano individuare le responsabilità dei potenti. Altro che “porcata”: le scelte messe in atto dai politici, ma anche da noi stessi, possono essere diverse ed esattamente denominabili come atti criminali, discriminatori, di violenza, di corruzione, di malcelato senso di giustizia e chi più ne ha più ne metta, SENZA RICORRERE AD ALLEGORIE RELIGIOSE E INGIURIOSE RISPETTO ALLA DIGNITA’ DI TUTTI GLI ANIMALI, COMPRESO QUELLI NON UMANI COME I NOSTRI VICINI DI CASA: I MAIALI. Animali che bisognerebbe conoscere, per scoprire le loro capacità affettive e di relazione, la loro intelligenza, e la voglia di vivere e giocare in ambienti puliti. Ma queste ne sono solo una parte. Qualità che con caratteristiche diverse, riguardano tutti gli altri animali di cui la cultura della tradizione ci induce spesso a sbeffeggiare.

    17 Febbraio, 2014
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  9. Veganzetta ha scritto:

    Grazie Gianluca per il tuo commento. Se è vero che il linguaggio modifica l’immaginario personale e collettivo, allora per una vera rivoluzione abbiamo bisogno di un nuovo linguaggio può vero ed etico da utilizzare per descrivere il mondo che vediamo e quello che vorremmo vedere. Dobbiamo imparare (come giustamente dici tu) a non usare più il linguaggio della discriminazione e dell’oppressione.

    18 Febbraio, 2014
    Rispondi

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